San Tommaso era un nerd
Molti anni fa – quarantadue, per l’esattezza – Susan Sontag tentò di circoscrivere l’elusiva categoria del camp e di assegnarle confini certi entro un campo semantico conteso da molti altri monosillabi: kitsch, pop e via enumerando. Non era impresa facile, tant’è vero che ne sortirono le 58 proposizioni di Notes on Camp. Oggi l’esperto di fumetti Stefano Priarone tenta qualcosa di simile con una categoria non meno sfuggente: quella di nerd.
Anche qui c’è da destreggiarsi in un campo semantico sovraffollato, sul quale bivaccano paroline più segnaletiche che denotative: geek, otaku, bampa. Ma quel che emerge dalla lettura di Nerd Power è che l’eroe eponimo del volumetto è anzitutto un cultore: qualcuno che si dedichi a una passione (che siano i fumetti, la programmazione informatica o le serie televisive) in modo ossessivo, feticista, metodico fino alla pedanteria. Sacrificando sull’altare di questa passione le esigenze della vita reale, o direi più in generale del mondo fisico. Il nerd più famoso del mondo è Bill Gates, dunque è naturale che per molti la parola sia associata ai patiti dell’informatica… Ma che dire dell’eroe che ha fatto spesso capolino in questo blog, il giovane bibliomane?
Sotto molti aspetti, lo si potrebbe definire il gemello gutenberghiano del nerd. Le affinità tra i due tipi saltano all’occhio. Lui pure occhialuto e di colorito itterico, il biblionerd condivide con il suo analogo tecno-feticista un’altra caratteristica fondamentale: la sua corporatura si situa immancabilmente agli estremi dello spettro delle possibilità umane. Le grandi varianti sono due:
1. Rachitismo ascetico: nel caso del nerd comune, l’archetipo è Henry Dorsett Case, il protagonista di Neuromancer di William Gibson. Il corpo materiale è una prigione di cui liberarsi (the ballast of materiality, “la zavorra della materia”, secondo le parole di un altro grande nerd, Michael Benedikt), nell’attesa di poter scaricare il prezioso software della mente su un supporto incorruttibile di silicio, come hanno profetizzato nerd di lusso alla Marvin Minsky o alla Hans Moravec. Il biblionerd condivide questo metafisico ribrezzo per la carcassa del corpo, destinato alla marcescenza e alla putrefazione, ma è probabile che lo esprima in modo più eletto e pretenzioso: vi parlerà cartesianamente della superiore dignità della res cogitans… ma se ne starà ore a fissare, con quello “sguardo tattile” che Ortega y Gasset credeva esclusivo degli ispanici, la generosa res extensa della compagna del quarto banco.
2. Semiobesità da spuntino perpetuo: questa variante, assai più diffusa, discende da un medesimo disprezzo del corpo materiale, oltraggiato nell’eccesso piuttosto che nella mortificazione. Anche qui, da San Tommaso in poi (così grasso che i suoi compagni d’università a Parigi lo chiamavano il Bue Muto), le affinità sono molte. L’unica differenza è che il biblionerd, dopo aver intinto in salse innominabili le sue patatine al gusto di pollo arrosto con patate (esistono davvero, ahimè!), invece di inzaccherare una magliettaccia nera con la scritta “Genius at work”, rovinerà irrimediabilmente una pregiata edizione della Hypnerotomachia Poliphili di Francesco Colonna. In questo senso, è assai più nerd del nerd propriamente detto: è un nerd al quadrato.
Guvi appartiene spiritualmente al tipo 2, ma ha un buon metabolismo: ragion per cui a uno sguardo superficiale sembrerebbe propendere al tipo 1. Tutta scena. Invitatelo a cena, per convincervi (e perché non ha nulla in frigorifero).
P.P. (Post Postatum)
Ho un piccolo appunto da fare a Priarone. A un certo punto parla di quei nerd che – per lo più appassionati di fumetti – si scelgono nickname bizzarri da usare in rete. E cita un nomignolo, Marco Pesce, commentando: “uno dei nick più assurdi, visto che assomiglia a un nome reale”… ma quale assurdità?! Mi spiace, caro Priarone, ma qui mi dimostro più nerd di te: il riferimento è a Mark Pesce, uno dei creatori del linguaggio VRML, che ama definirsi una “strega tecnopagana omosessuale”.
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