Archive for the ‘guviblog’ Category
Dunque: dove eravamo rimasti?
Dopo un lungo letargo annunciato, UnPopperUno ha deciso che era tempo di risvegliarsi, sgranchirsi e ritornare in scena. O meglio, di rinascere in forma nuova. Come tutti i neonati – checché ne dicano le mamme – è ancora un po’ bruttino, ma dategli il tempo di prendere la sua fisionomia.
Tutto quel che c’era sul guviblog, ospitato per otto anni sul sito di Internazionale, è adesso qui; ma pare che presto o tardi sarà ripristinato pure lì: d’altra parte, quando nella casa che ti ospita fanno lavori e ristrutturazioni, è buona consuetudine saper pazientare un po’. Alcune cose che erano sul vecchio UnPopperUno le metterò presto anche sul nuovo; nel frattempo, il vecchio sito è ancora pienamente in funzione e consultabile. Leggi il seguito di questo post »
Tonino lava più bianco
Più il prodotto da pubblicizzare è sporco o ha a che fare con lo sporco, più la pubblicità sarà linda, pulita, candida, celeste, angelica, rarefatta. È una regola che non conosce eccezioni. Negli spot dei pannolini la pipì dei bambini diventa azzurra; e nulla, nella pubblicità come nel packaging, deve ricordare il giallo dell’urina. Gli assorbenti femminili sono associati a cieli limpidi, paracadute, deltaplani, tutto ciò che ci allontana dalla materia e dalla carne: in questo caso, è il rosso a essere tabù.
Che sia all’opera un banale meccanismo freudiano di rimozione, o una specie di neoplatonismo pop, o entrambe le cose, la constatazione è evidente: quanto più l’evocazione dello sporco si fa pressante e inaggirabile, tanto più lontano si fugge con i voli mistici dell’immaginazione.
Le pubblicità dei detersivi forniscono l’esempio più lampante. Sono tutte, immancabilmente, a dominanza cromatica bianca e azzurra. Tutte hanno a che fare con cieli incontaminati o acque purissime. In tutte figurano arcobaleni e gabbiani in volo. Vien fatto l’impossibile pur di spezzare la fatale catena associativa detersivo=calzini sporchi. Leggi il seguito di questo post »
Primo Levi e gli Ufo: il mio tema di maturità
Sono uscite le tracce dei temi della maturità. Una è su Primo Levi, un’altra è sugli Ufo. La prima reazione è stata quella di esporre una bandiera verde sul davanzale e proclamare la secessione del mio appartamento dal resto del paese. Poi, ho ripescato questo saggio-diario che avevo scritto qualche anno fa per Quaderni d’Altri Tempi, la bella rivista di fantascienza del mio amico Adolfo Fattori, e ho capito che avrei avuto buone chance di passare la prima prova. Lo ripropongo qui.
Il pianeta delle ceneri.
Auschwitz e la fantascienza
I.
Are you a Gentile? Avrò risposto mille volte a questa domanda: a quanto pare, che un non ebreo dedichi tanta parte dei suoi studi alla Shoah è per alcuni circostanza a tal punto insolita da doverne chiedere espressamente ragione. Stavolta la curiosità ha colto Yvonne, una donna israeliana minuta quanto energica che insegna cinema a due passi dalla Striscia di Gaza, in aule universitarie lambite quasi ogni giorno dai rudimentali razzi assemblati negli arsenali palestinesi. Faccio cenno di aprir bocca per dare anche a lei la risposta di prammatica, ma l’altro che passeggia insieme a noi per le vie di Kazimierz – malinconico vestigio di quel che fu il quartiere ebraico di Cracovia, popolato oggi dal “piccolo resto” degli scampati alla furia nazista e dai loro eredi – sembra non aver inteso bene la domanda. Are you a what? A Jedi? Leggi il seguito di questo post »
Enzo Tortora, molestie postume a un galantuomo
Questa è bizzarra. Sull’Espresso Riccardo Bocca raccoglie le dichiarazioni di Gianni Melluso, il camorrista “pentito” grande accusatore di Enzo Tortora.
La notizia non è che Melluso “scagioni” Tortora (lo aveva già fatto quindici anni fa, a Tortora morto e sepolto, e oltretutto non ce n’era bisogno, visto che a scagionarlo ci aveva pensato il Tribunale). La notizia non è che chieda perdono ai familiari del presentatore (anche questo lo aveva già fatto quindici anni fa, e già allora Anna, Gaia e Silvia Tortora avevano rispedito al coccodrillo le sue lacrime). Nulla di nuovo neppure nel fatto che infarcisca l’intervista – che, a quanto si capisce, lui stesso ha sollecitato – delle solite menzogne e millanterie.
La novità è che, con ennesimo cambio di rotta, Melluso stavolta scagiona i magistrati del caso Tortora. Nel 1995 aveva chiamato in causa proprio loro – “Avevo capito che le mie parole facevano comodo ai magistrati”, dichiarò al settimanale Visto. Oggi il volubile pentito ci fa capire che quei togati erano in buonafede, e scrupolosi. Tutt’al più un po’ tonti, e facili a cadere nelle trame dei camorristi Barra e Pandico. Così umani e così buoni, aggiungeremmo noi, che dopo l’assoluzione di Tortora non si sognarono nemmeno di incriminare Melluso e gli altri per calunnia. A spingerlo ad accusare Tortora, dice “Gianni il Bello”, furono i boss. Tana libera tutti per la Procura di Napoli. Leggi il seguito di questo post »
Filologia Alleniana/2. Traduzioni fedeli per coppie infedeli
La maledizione di Babele, la confusione delle lingue, si è abbattuta su tutti gli usi della parola, ma si è accanita con più ferocia su alcuni: tra questi, forse nessuno ne è uscito malconcio come il motto di spirito. Per un umorista, constatare che le proprie battute sono intraducibili equivale a scoprire su di sé i segni certi della cacciata dall’Eden; ma quando un Witz si lascia traghettare con agio da una lingua all’altra, ecco che spira per qualche istante miracoloso l’euforia pentecostale di chi crede di aver riacciuffato la lingua parlata da Adamo prima della Caduta.
Nelle mie vesti di fondatore di una disciplina orgogliosamente inutile, la Filologia Alleniana, mi preme illustrarvi un caso di lingua adamitica parzialmente recuperata che compare in una delle opere maggiori del Maestro, Io e Annie (Annie Hall, 1977). Si tratta di un dialogo domestico tra Alvy (Woody Allen) e Annie (Diane Keaton) dopo che questa è rincasata dalla sua prima seduta di psicoanalisi:
Annie: Well, she said that I should probably come five times a week. And you know something? I don’t think I mind analysis at all. The only question is, ‘Will it change my wife?’
Alvy: Will it change your wife?
Annie: Will it change my life?
Alvy: Yeah, but you said, ‘Will it change my wife?’
Annie: No I didn’t. I said, ‘Will it change my life, Alvy?’
Alvy: (to audience) She said, ‘Will it change my wife?’ You heard that, because you were there. So I’m not crazy. Leggi il seguito di questo post »
Politica allo stato gassoso
Tutto ciò che è solido si dissolve nell’aria, diceva Marx. A quanto pare la regola vale anche per i partiti marxisti. È quel che ho pensato oggi passando davanti alla sezione del Pd di San Lorenzo, il mio quartiere, dove ho potuto osservare gli effetti di una curiosa stratificazione storica.
La sigla del Pci, partito che si voleva perenne più del bronzo, è impressa a fuoco sulle maniglie in ferro battuto.
Quella dei Ds, che pure potevano ambire a una qualche durata, è incollata al vetro con l’adesivo, che quanto meno è difficile da staccare, richiede alcol e pazienza: a segno che i militanti non erano tanto pessimisti sulla speranza di vita del partito.
Tutto quel che riguarda il Pd, invece, è affidato a supporti volatili: foglietti fissati al vetro con un pezzo di scotch, nemmeno su tutti e quattro i lati. Equivale ad ammettere che oggi il partito c’è e si chiama così, domani chissà: sarebbe imprudente scomodare il fabbro.
È il passaggio della politica allo stato gassoso.
Annus Mirabilis. Il Guvi Book Award 2009
Caspita, che annata d’oro! Per una volta, sono soddisfatto delle mie letture. E con gran pena sono riuscito a distillare due Top 15 (Narrativa e Saggistica), una Top 10 “di settore” (Extravaganzas) nonché una Caienna dove scontano la loro condanna i tre libri più insulsi letti nel 2009. L’esortazione d’inizio anno, che rivolgo per primo a me stesso, è ancora una volta questa: non farti dettare le scelte di lettura dai calendari degli editori e degli uffici stampa, dal ricatto dell’attualità, dal regno dell’adulazione universale (il cui rovescio è il combattimento dei galli) che domina il cosiddetto giornalismo culturale, dalla pressione di compagnie e circoletti, spesso amabili, che fanno leva sul senso di vergogna. “Ma come, non hai letto Tal de’ Tali?”. Ebbene no, non l’ho letto, non lo leggerò mai: la vita è troppo breve. Siate crivellati di lacune, con lo stesso orgoglio che il nobile Gruviera ostenta nel vostro frigorifero. Leggete i classici, e seguite le vostre ossessioni ovunque vi portino. Tutto il resto è enciclopedismo, snobismo, accademia, fighettismo letterario, o soggezione alla “fama”: che è poco meno che vento.
Se non vi fidate di me, fidatevi di Jonathan Swift: “Dei settemila scritti attualmente prodotti in questa rinomata città, prima che il sole abbia compiuto la prossima rivoluzione, non resterà l’eco di alcuno”. O di Joseph De Maistre: “Ma una raccomandazione mi resta da farvi, Signora, ed è che, all’epoca in cui viviamo, è più che mai necessario di stare in guardia contro la riputazione dei libri, visto che il secolo che tramonta rimarrà sempre segnato nella storia come la grande epoca della ciarlataneria in tutti i campi, e soprattutto delle fame usurpate”.
E ora, le classifiche (compilate, per pigrizia, in ordine sparso, in una notte quasi insonne: perciò non è detto che il numero sette sia meno bello del numero tre, eccetera). Leggi il seguito di questo post »
“Conducta Impropria”: un documentario sull’universo concentrazionario castrista
Ho deciso di pubblicare su YouTube un documento straordinario e pressoché introvabile, che per colpevole pigrizia avevo lasciato sonnecchiare per anni in un vecchio VHS. Si tratta del documentario Conducta Impropria (1984) di Néstor Almendros e Orlando Jiménez Leal che ha per oggetto le UMAP (Unità Militari di Aiuto alla Produzione), i campi di concentramento che Fidel Castro creò negli anni Sessanta per internarvi omosessuali, dissidenti, capelloni, “asociali” e altri nemici della Rivoluzione. Nel documentario ci sono testimonianze di anonimi sopravvissuti alla repressione totalitaria, di scrittori come Reinaldo Arenas, Guillermo Cabrera Infante e Juan Goytisolo, di intellettuali come Susan Sontag, di dissidenti come Carlos Franqui e Armando Valladares. Un documento quasi “clandestino”, fondamentale per conoscere il vero funzionamento e il vero volto del potere castro-guevarista.
Qui trovate il documentario, diviso in dodici spezzoni (abbiate venia per eventuali problemi tecnici):
E qui, se volete una prima informazione sull’argomento, un estratto della mia postfazione al romanzo-testimonianza Il lavoro vi farà uomini di Félix Luis Viera (Cargo edizioni) che Notizie Radicali ebbe, qualche anno fa, la bontà di ospitare.
Contro gli stakanovisti della firma, o del clic
Riprendo tra le mani un libro illuminante sul maggio parigino, il quaderno d’appunti che l’erudito ucraino ed ex deportato Piotr Rawicz compilò a caldo nei giorni delle barricate. S’intitola Bloc-notes d’un contre-révolutionnaire, ou La gueule de bois (Gallimard, 1969). Trovo questo passo, che avevo sottolineato:
Visita presso un grande editore della rive gauche, nell’ufficio di uno dei suoi direttori di collana. Il telefono squilla senza sosta. Stavano redigendo una mozione, un “manifesto” sulla “manifestazione” di ieri… da far firmare a tutti i firmatari abituali, tutti gli stakanovisti della firma. Si discute di virgole e di punti. Conviene dire “il movimento internazionale della gioventù” o piuttosto “il movimento della gioventù dei paesi”?… Un’illusione di attività, di comunione con il mondo… attraverso le firme. Che misero surrogato! Il tutto per scappare al vuoto e alla solitudine.
Vedendomi sfilare sotto gli occhi ogni giorno, via Facebook e simili, mandrie foltissime di appelli più o meno sensati, più o meno peregrini, mi chiedo se gli stakanovisti della firma non abbiano ormai perso ogni residua zavorra che li ancorava alla realtà, forti di un mezzo che permette di sfornare petizioni a centinaia, e di raccogliere con la stessa facilità centinaia di adesioni. Quando si stampa troppa moneta, l’inflazione è ineluttabile.
A costo di sembrare un paleo-materialista, di quelli che considerano con sospetto l’economia finanziaria e non danno credito che alle acciaierie, alle industrie tessili o ai caseifici, confesso di diffidare di qualunque forma di impegno politico che non comporti lo scendere dal letto, infilarsi le scarpe, raggiungere posti scomodi magari sotto la pioggia e, se possibile, spendere dei soldi. Anche su PayPal, se è il caso.
Come va ripetendo da anni Marco Pannella con l’ossessività di cui lui solo è capace, “non esiste professione di fede valida che non sia accompagnata dall’obolo di uno scellino”.
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