Un misconosciuto Bob Dylan sionista
Leggevo ieri sul Corriere della Sera un’intervista al ministro degli Esteri israeliano Tzipi Livni, la prima donna a ricoprire quest’incarico dai tempi della racchiona Golda Meir, quando mi sono imbattuto in questa frase: “So che tanti nel mondo vogliono farci passare per i teppisti del quartiere”. Teppisti del quartiere. È pressoché certo che la Livni abbia usato l’espressione inglese neighborhood bully, a cui (l’ho verificato) ha già fatto ricorso in altre interviste nei mesi scorsi.
Ebbene, Neighborhood bully è il titolo di una canzone di Bob Dylan, un pugnace manifesto sionista scritto ai tempi della prima guerra in Libano, agli inizi degli anni Ottanta. Il “bullo del vicinato” di cui parla la non bella canzone è lo Stato di Israele, che tale appare agli occhi dei paesi arabi confinanti. Possibile che si tratti di un’espressione gergale usata abitualmente per definire Israele; non sono abbastanza addentro per saperlo. Vi trascrivo però parte della canzone (nella traduzione “canonica” di Alessandro Carrera), anche perché svela un volto poco noto di Dylan.
Tutti hanno in mente l’immagine oleografica e dolciastra del “menestrello della pace”, che canta contro la guerra in Vietnam e la bomba atomica. In realtà, canzoni sul Vietnam Dylan non ne ha mai fatte, e molti l’hanno rimproverato per questa latitanza; è un autore “impolitico”, che se parla di politica lo fa in un orizzonte messianico e apocalittico (secolarizzato, si dirà; ma non troppo). È quel che accade anche in Neighborhood bully, tramata da cima a fondo di immagini bibliche – e, per la cronaca, uscita sull’album Infidels.
Bullo del quartiere, cacciato via da ogni paese,
ha vagato in esilio sulla Terra.
La sua famiglia l’ha vista disperdersi, la sua gente inseguita e sbranata.
Sempre processato soltanto perché è nato,
è il bullo del quartiere.
(…)
È circondato da pacifisti, tutti vogliono la pace,
passano la notte a pregare che il massacro abbia fine.
Non farebbero male a una mosca, una sola e si metterebbero a piangere.
Stanno lì ad aspettare che il bullo si addormenti,
è il bullo del quartiere.È crollato ogni impero che l’aveva reso schiavo,
l’Egitto e Roma, e Babilonia la grande.
Dalla sabbia del deserto ha creato un giardino dell’Eden,
in combutta con nessuno, agli ordini di nessuno,
è il bullo del quartiere.(…)
Per che cosa hanno tutti qualche debito con lui?
Niente, dicono. Gli piace far la guerra, tutto lì.
Orgoglio, pregiudizio e superstizione, nient’altro.
Lo aspettano come un cane aspetta di mangiare,
è il bullo del quartiere.Che cosa ha fatto per portare così tante cicatrici?
Cambia forse il corso ai fiumi? Inquina luna e stelle?
Bullo del quartiere, ritto in cima al colle,
esaurisce l’orologio, il tempo si è fermato,
bullo del quartiere.
P.S. Inutile precisare che, ferma restando la libertà di ciascuno di inviare i commenti che vuole, nelle mie intenzioni questo non è un “editoriale” sull’attuale crisi mediorientale né un modo per innescare un dibattito sul sionismo, ma solo un’occasione per rispolverare un Dylan misconosciuto.
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