Guido Vitiello

Ferrara contro Ferrara

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Da qualche tempo mi capita spesso di avere vampate di laicismo ottocentesco, e mi convinco che la priorità assoluta della politica italiana sia ricacciare l’invasore Oltretevere. La prima volta è stato nella tornata referendaria del giugno scorso, dopo l’invito all’astensione del cardinal Ruini, accolto con pavida condiscendenza da buona parte della classe politica.

L’ultima è di pochi giorni fa, quando mi sono trovato tra le mani Non dubitare. Contro la religione laicista, un recente volumetto che raccoglie i principali interventi di Giuliano Ferrara successivi alla svolta “atea devota”: un saggetto uscito sulla rivista dell’ Università Cattolica del Sacro Cuore “Vita e Pensiero”, la trascrizione dell’intervento al Meeting di Comunione e Liberazione dello scorso agosto, la relazione a un convegno in cui si auspica la “conversione” di Machiavelli.

Ferrara è un argomentatore acuto e per l’appunto un po’ machiavellico – ricorda il gesuita Naphta di Thomas Mann – e non tutti i suoi spunti sono da rigettare, malgrado una prosa infarcita all’inverosimile di locuzioni teologiche e latinorum ecclesiastico di recente acquisizione (deve aver fatto una full immersion, come in certi riti battesimali). Ma a volte esagera proprio, come quando oppone la libertà “positiva”, “creativa”, “costruttiva” del matrimonio eterosessuale (che ha il merito di servire “la propagazione della specie”) allo “schematismo concettuale astratto delle nozze gay”. Che poi per carità, nello specifico si può essere favorevoli o contrari, ma l’idea che le libertà debbano essere ancorate alla “natura” – la critica allo “sradicamento”, insomma – ha risonanze quantomeno sinistre. O destre, fate voi.

Più di ogni cosa, però, mi ha indispettito il sottotitolo, Contro la religione laicista. Perché davvero non se ne può più, del tormentone su laicità e laicismo (oggi è toccato a Rosy Bindi risalmodiare l’abusata distinzione, sul Corriere). E pensare che la prima volta che mi ci sono imbattuto – in un bel libro di Daniele Menozzi, La chiesa cattolica e la secolarizzazione – mi era parsa una distinzione sensata. Tutto cominciò con Paolo VI, che nella Evangelii nuntiandi (1975) riprese la distinzione tra secolarismo (cattivo) e secolarizzazione (non per forza cattiva). Lo stesso papa Montini, ricorda Menozzi, “aveva distinto tra laicismo – che veniva respinto – e laicità, che veniva invece accettata” (entro certi limiti ovviamente). Ora, a quanto pare, a destra e a sinistra sono quasi tutti montiniani.

A differenza di Berlusconi e della sua zia monaca, Giuliano Ferrara ha uno zio laico. Parlo di Giovanni Ferrara, autore di un libro che ho visto fin da quand’ero bambino nella libreria del mio papà anch’egli laico. Era su uno scaffale in alto, ed io ero troppo piccolo per afferrarlo, figuriamoci per afferrarne il titolo: Apologia dell’uomo laico (Rusconi, 1983). Sarà la mia lettura di stasera.

Ferrara o non Ferrara, zio o nipote, diffidate sempre di chi, con il pretesto di “aggiornare” parole démodé di fatto le snaturano. Quando sentite auspicare una “nuova laicità al passo coi tempi”, sappiate che avete probabilmente a che fare con una tipica formula peperone ripieno: parole svuotate del loro contenuto originario e riempite secondo le fantasie dello chef. E in questo caso, il ripieno è particolarmente indigesto.

Insomma, mi terrò stretto il mio ottocento di massoni e mangiapreti. E quasi quasi venerdì 10 febbraio vado alla manifestazione radicale (una conferenza, in realtà) per l’abolizione del Concordato. A Roma, Teatro Flaiano, ore 9,30.

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febbraio 6, 2006 a 6:32 PM

Pubblicato su guviblog

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