Thomas Mann, il padre del porno-nazi
Dopo che il British Board of Film Classification ha autorizzato, nel 2006, la diffusione di un gruppo di film tenuti al bando per oltre vent’anni a causa del loro contenuto violento, è riemerso dalle discariche più innominabili della storia del cinema SS Experiment Camp (1976) di Sergio Garrone, noto anche con il pittoresco titolo di Lager Ssadis Kastrat Kommandantur.
È forse il film più rappresentativo di un genere quasi tutto italiano nato nella seconda metà degli anni Settanta, la Nazi-Sexploitation: film sadico-erotici che avevano per fondale i lager femminili, e che mostravano abominevoli torture praticate su prigionere inermi da parte di SS in uniformi lustre e inappuntabili, munite di frustini e accompagnate da cani feroci. Un genere “maledetto” che conta alcune decine di film, a cui si dedicarono per intero due case di produzione, la Fulvia e la S.E.F.I.
Proprio in corrispondenza con la Giornata della Memoria, due quotidiani britannici hanno chiesto di rimettere sotto chiave il film di Garrone: per il Daily Express questa “porcheria” andrebbe rimossa dagli scaffali dei negozi, mentre il Sunday Times invita a “bloccare questo film degradante”. Un gruppo di parlamentari ha chiesto al premier Gordon Brown di rivedere la legge sulla censura, e anche le associazioni ebraiche hanno fatto sentire il loro scontento. Il portavoce di una di esse, il Community Security Trust, ha così riassunto le ragioni della protesta: “All’epoca il film era stato vietato perché rendeva attraente il nazismo e la violenza sessuale, e nessuna delle due cose dovrebbe essere più accettabile oggi”.
Eppure, la mescolanza di erotismo, nazismo e campi di concentramento non è certo un’invenzione di Garrone. Chi esplora il sordido filone della Nazi-Sexploitation, anzi, una volta superato l’istintivo raccapriccio finisce per accorgersi non senza un certo imbarazzo che è come sfogliare l’album di famiglia di una parte tutt’altro che ignobile della cultura europea, che ha contribuito a circondare il nazismo di un alone erotico, a farne la part maudite della cultura occidentale, a foggiare l’immagine delle SS come dandy gelidi e dionisiaci.
Ci si sbaglia, e di grosso, a rintracciare l’archetipo di SS Experiment Camp di Garrone in produzioni americane di bassa lega come Nazi Love Camp 7 di Lee Frost o Ilsa la belva delle SS di Don Edmonds, che si limitavano a trasporre in uno scenario europeo i temi dei film erotici sulle carceri femminili, i women-in-prison films. Il filone porno-nazista italiano va letto, al contrario, come degradazione parodistica di un modello alto, di un canone nobile che include La caduta degli dèi di Luchino Visconti e Salò di Pier Paolo Pasolini, via via fino al pretenzioso mid-cult di film come Il portiere di notte di Liliana Cavani o Salon Kitty di Tinto Brass.
Questa commistione di nazismo ed erotismo sconcertava Michel Foucault, che intervistato dai Cahiers du Cinéma sul finire degli anni Settanta si chiedeva: “Come è possibile che il nazismo, che era fatto da personaggi miseri, squallidi, puritani, da una sorta di zitelle vittoriane tutt’al più un po’ viziosette, sia divenuto dappertutto, in Francia, in Germania, negli Stati Uniti, nella letteratura pornografica del mondo intero, il punto di riferimento assoluto dell’erotismo? L’immaginario erotico di paccottiglia è posto oggi sotto il segno del nazismo”.
Con buona pace di Foucault, però, l’erotizzazione del nazismo non era affare esclusivo della “paccottiglia” pornografica. Gli straordinari studi di Saul Friedländer o di Alvin Rosenfeld hanno mostrato che essa può vantare lontani padri nobili (e per lo più incolpevoli) come i Mann – il Thomas del Doktor Faustus, ma anche il figlio Klaus di Mephisto – capostipiti di una visione nietzscheano-wagneriana del nazismo come emersione del dionisiaco e del demoniaco dal disfarsi del mondo borghese, dunque come fenomeno non privo di un torbido fascino decadente. E tra gli anni Sessanta e Settanta la fascinazione erotica per il nazismo e i suoi simboli ha riguardato scrittori di tutto rispetto come il Donald M. Thomas di L’albergo bianco, Michel Tournier o Alain Robbe-Grillet, o i registi Visconti, Syberberg e Fassbinder. Oggi, lungi dall’essere scomparsa, questa ossessione fa capolino in romanzieri come il tedesco Thor Kunkel, e perfino in molte pagine delle Benevole di Jonathan Littell.
Con queste tradizioni alte la Nazi-Sexploitation – questa sorta di Caienna o Isola del Diavolo del cinema – ha instaurato un beffardo rapporto mimetico, parassitario e parodistico: film come Casa privata per le SS di Bruno Mattei e Le lunghe notti della Gestapo di Fabio De Agostini non fanno che scimmiottare La caduta degli dèi di Visconti, i festini lascivi di una Weimar in disfacimento, le rivalità intestine delle elite naziste che sfociano immancabilmente in qualche orgiastica “notte dei lunghi coltelli”. L’ultima orgia del Terzo Reich di Cesare Canevari segue la falsariga del Portiere di notte, inscenando la liaison sadomasochistica tra una ex internata e il suo amante aguzzino. Il raccapricciante La bestia in calore di Luigi Batzella riprende personaggi e situazioni addirittura da Roma città aperta di Rossellini – il prete partigiano, le scene di resistenza dal sapore neorealista, perfino alcuni dettagli minori – cioè dal film che per la prima volta, nell’episodio delle torture, ha mostrato un’élite nazista degenerata e decadente, composta da un comandante effeminato e dalla sua assistente sadica.
Perché questa oscura fascinazione per il nazismo e i suoi rituali? La risposta abbozzata da Foucault nell’intervista ai Cahiers – secondo cui il potere ha di per sé una carica erotica – è poco più che un truismo. Non spiega affatto perché il potere nazista ha dato vita a una lussureggiante produzione erotico-pornografica, mentre quello comunista, per esempio, può annoverare solo qualche sporadico caso come Ilsa, the Tigress of Siberia di Jean LaFleur.
Il fascismo, sosteneva Susan Sontag, è per natura “più sexy del comunismo”. Nel saggio Fascino fascista, la Sontag suggeriva una spiegazione di questa vistosa disparità: “Stivali, cuoio, catene, Croci di Ferro su toraci lucenti, svastiche, sono i più segreti e lucrosi accessori dell’erotismo insieme ai ganci da macellaio e alle motociclette. Nei sex shops, nei bagni pubblici, nei bar per omosessuali, nei bordelli, la gente sfoggia questi travestimenti”. Alle origini di questo perturbante accostamento sta la predilezione dei capi fascisti per le metafore sessuali (la dominazione del leader su masse femminee); ma soprattutto, una sorta di affinità naturale tra sadomasochismo e nazismo, il primo essendo un teatro della sessualità e il secondo un teatro del potere, una mise-en-scène del desiderio. Il nazismo, per così dire, offre al sadismo il suo complemento naturale: “Sade aveva dovuto costruire il suo teatro della punizione e della delizia con rottami, improvvisando arredi e costumi e riti blasfemi. Adesso esiste uno scenario magistrale disponibile per chiunque”.
È su questo “scenario magistrale” che il filone porno-nazista di Garrone e compagni ha allestito i suoi macabri festini kitsch. Ma a fornirglielo non è stato, come suggeriva la Sontag, il nazismo in quanto tale; è stata piuttosto la sua rielaborazione e rilettura in chiave dionisiaco-demoniaca da parte di una componente tutt’altro che marginale o vile della cultura europea. Film come SS Experiment Camp sono il frutto più impuro e bastardo di questa tradizione, e meritano senz’altro il nostro biasimo per mille ragioni – di morale, di buon gusto, di rispetto per la storia e per le sue vittime.
Ma dovrebbero anche portarci a riflettere su come il rapporto tra i salotti buoni della cultura e certi suoi sordidi scantenati in cui non osiamo metter piede sia a volte più complesso e sfumato di quanto sembra.
Questo articolo è uscito su Il Riformista il 29 gennaio 2008. Qui in formato pdf.
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