“Il meglio (NON è) di Daniele Luttazzi”, il video fantasma
Un video fantasma si aggira per la rete. Si intitola Il meglio (NON è) di Daniele Luttazzi, un filmato di quaranta minuti che documenta come il comico abbia attinto a piene mani, nei suoi spettacoli teatrali, libri e show televisivi, al repertorio di alcuni grandi nomi della stand-up comedy. Personaggi popolarissimi nel mondo anglosassone ma in Italia ancora sconosciuti ai più, come George Carlin, Bill Hicks, Chris Rock, Eddie Izzard o Robert Schimmel. La video-inchiesta – un montaggio che alterna brani dei monologhi di Luttazzi a spezzoni degli originali britannici e soprattutto americani – è punteggiata da dichiarazioni del comico romagnolo che nel contesto suonano un po’ stridenti. Come questa: «Non mi divertirei a dire battute scritte da un altro».
Dai grandi autori satirici Luttazzi ha attinto alcune centinaia di battute, censite minuziosamente nel blog My Voice, un corposo dossier che si arricchisce ogni giorno con nuove segnalazioni. Non solo: il comico ha preso in prestito anche monologhi di diversi minuti, riproponendoli quasi parola per parola, salvo piccoli adattamenti per il pubblico italiano. Senza mai, però, menzionare la fonte.
A creare il filmato e il blog sono stati dei fan (o ex fan) di Luttazzi, delusi dalla scoperta che molte battute del loro beniamino erano in realtà importazioni da oltreoceano. Ragazzi che hanno conosciuto Carlin, Hicks e gli altri anche grazie all’autore di Satyricon e che ora, si può dire, gli presentano il conto. O almeno gli chiedono chiarimenti. Temono, a ragione, le strumentalizzazioni politiche della loro inchiesta, e non hanno gradito affatto che un articolo apparso sul Giornale usasse pretestuosamente il loro video come appiglio per giustificare “a posteriori” l’editto bulgaro di Berlusconi.
(Qui il video integrale)
Non è la prima volta che l’originalità di Luttazzi viene messa in dubbio. Una delle sue ultime trovate – la Palestra, un laboratorio collettivo di satira che prende spunto dai titoli dell’attualità – ha suscitato qualche fastidio tra i frequentatori di Spinoza, il blog satirico che proprio a questa formula deve le sue fortune. Ma la questione dei prestiti di Luttazzi si era già posta alla fine del 2007, quando il comico fu cacciato da La7 per una battuta su Giuliano Ferrara nella vasca, che si rivelò essere il calco piuttosto fedele di un monologo di Bill Hicks sul conduttore radiofonico di destra Rush Limbaugh. All’epoca ne diede conto Christian Rocca sul Foglio, documentando anche altri debiti di Luttazzi verso i comici americani, a partire da quello vistoso con Dave Letterman. Rocca sottolineava tra l’altro un curioso costume di Daniele Fabbri, in arte Luttazzi: se qualcuno si appropria delle battute che lui stesso ha attinto da altri, salta su tutte le furie e inscena grandi tirate moraleggianti. Luttazzi, nella fattispecie, era inviperito perché una battuta dello spettacolo Satyricon («Come fai a sapere quando una mosca scoreggia? Improvvisamente vola dritta») era stata ripresa da Paolo Bonolis a Striscia la notizia. Peccato che fosse di George Carlin, che la proponeva nei suoi monologhi già trent’anni fa.
In Adenoidi, spettacolo del 2003, Luttazzi si scagliava contro i “bastardi” che hanno la faccia tosta di rubargli le battute, per esempio questa: «Mio nonno era un duro. Un vero duro. Sulla sua lapide c’è scritto: Cazzo guardi?». Ottima, non c’è che dire, ma ricorda un po’ troppo quella che un’altra star della stand-up americana, Margaret Smith, recitava fin dagli anni Ottanta («He was an angry man, my Uncle Swanny. He had printed on his grave stone: What are you lookin’ at?»). O questa, folgorante, sulla masturbazione: «Ricordo con angoscia la prima volta che ho fatto l’amore. Era notte. Era buio. Ero solo». Luttazzi accusava bonariamente Roberto Benigni di avergliela copiata. La stessa accusa, al comico toscano, avrebbe potuto muoverla Rodney Dangerfield («Do you remember the first time you had sex? I do, and boy, was I scared! I was alone!»).
Perfino il gran barzellettiere Silvio Berlusconi avrebbe scopiazzato battute da Luttazzi, come il comico lamentò all’amico Marco Travaglio, che ne parlò al Corriere nel gennaio del 2006. Una di queste il Cavaliere l’aveva raccontata a una riunione di partito: «Sapete come è morto il nonno di Fini ad Auschwitz? È caduto dalla torretta di guardia». E poi c’era quella sull’infanzia frustrata di Pier Silvio («”Quanti anni hai figliuolo?”. “Cinque, papà”. “Io alla tua età ne avevo sei”»). Una volta tanto, il giornalista ossessionato dagli archivi non si è preso la briga di documentarsi: avrebbe scoperto che la prima battuta si poteva leggere già trent’anni fa in una raccolta di barzellette su Auschwitz, la seconda è opera dell’autore per l’infanzia Shel Silverstein, e risale agli anni Sessanta. La cosa più grave, dichiarava Travaglio, è che «Berlusconi non dice mai di chi sono queste frasi: le racconta come proprie». Già, grave.
I fan più incalliti di Luttazzi probabilmente non ricordano queste vecchie polemiche giornalistiche. Passano però molto tempo su internet, dove c’è il rischio concreto che il video Il meglio (NON è) di Daniele Luttazzi si diffonda rapidamente. Forse anche per questo, da settimane è in corso un braccio di ferro tra chi cerca di mettere il video in rete – su YouTube, su Facebook, su vari siti di file-sharing – e la Krassner Entertainment Srl (titolare dei diritti sul lavoro di Luttazzi) che ne chiede la rimozione per ragioni di copyright o di diffamazione. Ma non è tutto. Anche la voce dedicata a Luttazzi su Wikipedia è oggetto di una contesa interminabile. C’è un utente, Sante Pracucci – zelante e informatissimo fan di Luttazzi – che rielabora continuamente la sezione “Influenze artistiche, citazioni ed accuse di plagio” rimuovendo i link al video e al blog incriminati. Non si sa chi sia, ma di certo è qualcuno che conosce il comico davvero bene, perfino i dettagli della sua storia familiare fino a tre generazioni addietro: i fan delusi di Luttazzi hanno scoperto che c’è un Sante Pracucci che nel 1906 si trasferì a Santarcangelo di Romagna (paese natale di Luttazzi) e vi gestì una stamperia, per poi passarne il testimone al nipote Alfonso Marchi. Che è lo zio di Luttazzi, come il comico stesso rivela nel libro La guerra civile fredda. Caspita se studiano, questi fan.
Luttazzi ha reagito ai sospetti di plagio adottando, nel corso degli anni, molte linee difensive. Ha prima respinto ogni accusa, in una lettera stizzita a Repubblica del febbraio 2001: «Tutte le battute di Satyricon sono originali. (Se si sostiene il contrario occorre fare degli esempi precisi, altrimenti mi si devono delle scuse)». Poi, in risposta all’email di un fan, ha adombrato l’ipotesi che fossero gli americani come Jerry Seinfeld o Jay Leno – i cui autori, scriveva, «setacciano internet» – a piluccare dai suoi monologhi. Poi è passato ad argomenti più raffinati: discettazioni sulla natura della creazione artistica che vive di rifacimenti e variazioni sul tema, in barba al mito romantico dell’originalità. Per esempio, la battuta sulla mosca nella versione di Carlin parlava di una falena (moth): tutta un’altra cosa, ne converrete. Poi, ancora, ha sostenuto di servirsi di questi “omaggi” a comici illustri come escamotage in vista di eventuali processi: quando i parrucconi lo porteranno in tribunale sostenendo che la sua non è satira ma volgare insulto, lui potrà rivelare che la fonte d’ispirazione è un autore che il mondo intero considera satirico. Ma allora, si domanda qualche fan deluso, perché Luttazzi non ha tirato fuori il suo asso dalla manica nel caso Ferrara/Hicks, che gli è costato la chiusura di Decameron e l’addio alla tv?
L’ultima versione, in ordine di tempo, è quella della “caccia al tesoro”: un gioco che Luttazzi sostiene di fare da anni con i suoi fan disseminando libri e spettacoli di riferimenti a battute altrui, che i cultori della comicità possono scovare e in questo modo ridere due volte. I curatori del blog My Voice dubitano anche di questa versione, e assicurano di aver dimostrato che sul sito di Luttazzi l’annuncio della caccia al tesoro è stato retrodatato ad arte, per far credere che l’idea risalisse a molto tempo prima. E oltretutto alcune delle battute incriminate (quella sul nonno burbero, quella sulla “prima volta”) compaiono nel monologo d’esordio di Luttazzi, Non qui, Barbara, nessuno ci sta guardando, che risale a fine anni Ottanta. Insomma, questa caccia al tesoro va avanti da un po’ troppo.
Nel momento in cui scrivo, qualche frammento della video-inchiesta su Luttazzi è visibile su YouTube: chissà quanto durerà. Ma al di là del duello elettronico, c’è da sperare che i fan delusi di Luttazzi ottengano l’unica cosa che vogliono davvero: una spiegazione che dissipi i sospetti una volta per tutte. Tanto – così funziona internet – il video troverà in un modo o nell’altro una via per diffondersi. Ogni tentativo di fermarlo è velleitario. O meglio, direbbe Luttazzi, «è come tappare la bocca con lo scotch a uno che sta per vomitare: non puoi farlo». Ah, dimenticavo: questa è di Robert Schimmel («It’s like putting duct-tape on your mouth when you’re gonna puke: that shit doesn’t work»).
L’articolo è stato modificato dopo la prima pubblicazione, per render conto di un articolo del “Giornale” sul caso uscito nelle stesse ore. Poi è stato ripubblicato sul “Riformista” di martedì 8 giugno, e rilanciato da Dagospia. Il seguito è storia nota.
Ciao, ho notato che Daniele Luttazzi sta imperversando in rete con decine di account falsi, con i quali fa “rumore di fondo”, commenta a suo favore articoli e post che parlano dei suoi plagi, ed edita a tradimento articoli di Wikipedia per falsificarli a suo favore. Anche molti commenti in sua difesa sul Fatto Quotidiano sono in realtà scritti da lui.
Inoltre, mentre facevo ricerche per capire l’entità dell’azione dei fake di Daniele Luttazzi in giro per Internet, ho scoperto che oltre alle centinaia di battute copiate – metà repertorio! – scoperte dai ragazzi di ComdySubs e NtVox, anche il suo libro d’esordio “101 cose da evitare a un funerale” è un plagio integrale di un articolo di Ed Bluestone (e successivi addenda) apparso sul numero 34 (1973) della rivista umoristica americana National Lampoon.
Steelo
Steelo
ottobre 11, 2014 at 5:47 PM
In effetti ultimamente ricevo commenti avvocateschi in sua difesa, ma non mi spingerei mai a ipotizzare che sia lui a scriverli dietro account falsi. Spero che tu abbia delle prove a sostegno di quel che dici!
unpopperuno
ottobre 11, 2014 at 5:52 PM
Il video non riesco a trovarlo da nessuna parte, risulta rimosso.
Brad
febbraio 15, 2015 at 2:47 PM
Ho corretto il link, ora dovrebbe funzionare
unpopperuno
febbraio 15, 2015 at 3:49 PM
Grazie, me lo guardo e mi faccio un’idea.
Brad
febbraio 15, 2015 at 6:18 PM