Nella trappola di PowerPoint
Fatte salve le cinque W del giornalista provetto (Who, What, Where, When, Why) e le tre V del buon cristiano (Via, Veritas, Vita), qualunque dottrina che si proponga sotto forma di una trafila di iniziali è in odore di truffa. La campagna elettorale del 2001, con il duello a distanza tra Berlusconi e Rutelli, offre un buon banco di prova. Un signore anziano, che a stento sapeva pronunciare la parola Google senza farla suonare come il nome di uno scrittore russo, ripeteva tutto raggiante il ritornello delle tre I: «I come inglese, I come informatica, I come impresa». Gli faceva eco l’altro signore, più giovane stando all’anagrafe, con una triade a densità semantica zero che neppure il genio di Arnaldo Forlani avrebbe saputo concepire: «I come Italia, I come identità, I come innovazione». Era il bipolarismo di PowerPoint.
È da quel focolaio informatico che ha preso a dilagare la perniciosa mania degli elenchi puntati facili da memorizzare, da quel programma Microsoft che consente di creare presentazioni fatte di slide colorate con scritte, grafici e fotografie. O almeno è quanto sostiene Franck Frommer, giornalista francese esperto di comunicazione d’impresa, in Il pensiero PowerPoint. Articolo uscito l’11 marzo 2012. Continua a leggere su La Lettura.
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