L’Imu? No, tassiamo le citazioni facili
Ripianare il debito pubblico sarebbe una sciocchezza, se solo ci decidessimo a prendere alcuni provvedimenti dolorosi ma risolutivi: una tassa sui luoghi comuni e sulle frasi fatte, per esempio, e ancor prima una tassa sulle citazioni abusate. Cinquanta centesimi ogni volta che ci si azzarda a riproporre il monito di Bertolt Brecht, «Sventurato il paese che ha bisogno di eroi». Almeno un euro per gli usi illeciti del motto filosofico di Ludwig Wittgenstein, «Su ciò di cui non si può parlare si deve tacere». Cinque euro per il George Santayana di «Chi non ricorda il passato è condannato a ripeterlo». Una gabella molto più onerosa per guadagnarsi il diritto a ripetere impunemente il tormentone del Gattopardo, «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi». La confisca dei beni (e una quarantina di scudisciate sulla pubblica piazza, già che ci siamo) per chi ha ancora il coraggio o l’impudenza di annunciare, con Goya, che «Il sonno della ragione genera mostri».
Pensateci bene, un meccanismo di tassazione di questo genere non solo risanerebbe in tempi rapidissimi i conti dello Stato, ma porterebbe sicuri benefici anche in quel piccolo sistema valutario che è il dibattito pubblico e giornalistico, dove le parole sono monete e il citazionismo compulsivo innesca spaventosi fenomeni inflattivi. A furia di ripetizioni, quanto vale ormai sul mercato delle idee uno dei preziosissimi aforismi di Ennio Flaiano, o di Leo Longanesi? Non molto più di un marco nella Germania di Weimar, quando un chilo di banconote non bastava a comprare un chilo di pane. Continua a leggere su La Lettura.
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