Il bello del capitalismo
Il capitalismo, ovvero l’opera d’arte totale. Possibile? Tutti gli indizi puntano all’evidenza contraria, e cioè che il mercato sia nemico giurato dell’arte, che sia all’origine di una propagazione capillare del brutto. Con gli anatemi scagliati per due secoli, dai tempi di Ruskin a quelli di Adorno, si potrebbe mettere insieme una requisitoria micidiale, una lista sfiancante di capi d’accusa: la profanazione industriale della natura, le metropoli caotiche e asfissianti, l’invasione delle catene alberghiere e dei franchising commerciali che accomunano tutti i luoghi in una sola insignificanza, le cavallette devastatrici del turismo di massa, la paccottiglia kitsch prodotta in serie e rovesciata quotidianamente in grembo al mondo intero, l’inquinamento visivo dei cartelloni pubblicitari, il neon che rende spettrali piazze e monumenti… In breve, l’inferno estetico. Non sembra facile ribaltare una sentenza così ben motivata, ed è una ragione in più per incuriosirsi al nuovo libro nato dal sodalizio tra due saggisti francesi, il sociologo Gilles Lipovetsky e il letterato Jean Serroy. S’intitola L’esthétisation du monde (Gallimard) e descrive l’epoca del «capitalismo artista», un’epoca in cui i dominii dell’estetica e dell’economia si compenetrano come mai era avvenuto prima. Continua a leggere su La Lettura.
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