Guido Vitiello

Il fantozzismo nella storia d’Italia

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prunellaballorCome cultore di una disciplina fieramente oziosa, la filologia fantozziana, nonché Gran Maestro di un ordine esoterico crapulone, i Cavalieri della Prunella Ballor, non posso che salutare con tripudio il saggio che Claudio Giunta, filologo di cose un po’ più serie (tra le sue fatiche recenti c’è un commento alle Rime di Dante) ha dedicato al nostro ragioniere. S’intitola “Diventare Fantozzi” e lo si trova nel volume Una sterminata domenica, appena pubblicato dal Mulino. Accanto al libro di Giacomo Manzoli (Da Ercole a Fantozzi) è la cosa migliore che abbia prodotto la nostra disciplina negletta e ansiosa di consacrazione accademica. Giunta tenta di sciogliere la più indecidibile delle questioni, ossia che cosa debba intendersi per “fantozziano”. Risponde che fantozziano è prima di tutto il sentimento di inadeguatezza dell’“uomo medio sensuale” a cospetto del cerimoniale imposto dal contesto in cui si trova ad agire, che sia un campo da tennis, una cena nobiliar-aziendale, un casinò, una vacanza a Courmayeur.

L’inadeguatezza di Fantozzi è di volta in volta fisica, estetica, di gusto, di buone maniere, prende perfino la forma di una sottile “vergogna prometeica” davanti alla città moderna e alle diavolerie tecnologiche (in questo ha un illustre omologo in Jacques Tati). C’è poi, naturalmente, l’inadeguatezza culturale, ed è fatale che si torni all’episodio del cineforum aziendale, forse il solo su cui la filologia fantozziana possa vantare un po’ di letteratura. Nel direttore in giacca di velluto e collo dolcevita amante del cinema sovietico Giunta vede, prima e più che l’ennesimo padrone capriccioso e monomaniaco, un professore che si è messo in testa di elevare i suoi sottoposti, sottraendoli alle seduzioni grossolane del calcio e della commedia. Gli impiegati, come si sa, oppongono al suo disegno pedagogico un germe di ribellione, prontamente soffocato. È uno dei rari casi in cui l’inadeguatezza si riscatta in orgoglio, in un capovolgimento carnevalesco dei ruoli dove l’aspirante pedagogo finisce pedagogizzato; e se ne dovrebbe dedurre che l’episodio più celebre e più citato di tutta la saga di Fantozzi è anche, a rigore, il meno fantozziano.

Un paradosso, ma neppure tanto. Anzi, è possibile che sia qui la chiave per intendere il declino del fantozzismo a partire dagli anni Ottanta. Giunta lo addebita alla difficoltà di invecchiare bene, già che Villaggio si è consumato in una estenuante parodia di sé stesso, ma non è solo questione di vena creativa inaridita. Forse la decadenza di Fantozzi è uno dei mille sintomi di un rivolgimento più vasto, lo stesso che Giovanni Orsina ha descritto nel suo bel libro Il berlusconismo nella storia d’Italia: in breve, se l’essenza del berlusconismo come ideologia e come fenomeno politico-televisivo è stata la fine del sentimento d’inadeguatezza, l’abbandono della pretesa “ortopedica e pedagogica” di raddrizzare il costume nazionale, ebbene, a Fantozzi è venuto meno il suo habitat, l’acqua in cui nuotava come nell’acquario privato del megadirettore. Non è un caso che per Giunta il ciclo vitale si esaurisca con Fantozzi contro tutti, un film del 1980 che si apre con Fantozzi che rincasa di corsa in preda alla febbre del telecomando, per fare zapping nella giungla delle tv locali. E soprattutto, non è un caso che l’eredità più perdurante di una saga fatta per lo più di atroci umiliazioni subìte in silenzio sia quel sussulto pressoché isolato di orgoglio.

Che sembra doversi ripetere in eterno: quasi non c’è gag del film di Checco Zalone che non si possa ricondurre allo schema Corazzata Potemkin, alla rivalsa gioiosa contro i codici di gusto, le manie estetiche, i vezzi di una elite pretenziosa (e fantomatica). Ma l’onere dell’imbarazzo è qui capovolto, e chi vorrà scrivere un giorno “Il fantozzismo nella storia d’Italia” dovrà tenere conto di questo snodo. E se è vero che i detrattori di Zalone hanno assunto, in generale, pose più ridicole e irritanti del professor Riccardelli con il suo montaggio analogico, è altrettanto vero che la paura di essere tacciati di snobismo ha trattenuto molti dal salire su un palco, prendere il microfono e dire che sì, malgrado tutto, Sole a catinelle è una cagata pazzesca.

Articolo uscito sul Foglio il 28 dicembre 2013 con il titolo Fantozzi, è lei?

Written by Guido

dicembre 31, 2013 a 4:50 PM

4 Risposte

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  1. allora per la chiarezza (e come riporta wikipedia per dire lo sforzo che basterebbe fare) la critica alla potemkin è una critica da sinistra all’ortodossia culturale del PCI di allora (correttezza vorrebbe che la si inquadrasse nel pensiero di villaggio in quegli anni); il paradosso è che quel momento di ribellione ha finito per legittimare il rifiuto della cultura di sinistra in generale (ricordo un franco frattini entusiasta, per dire il livello degli entusiasti).

    david

    gennaio 2, 2014 at 5:47 PM

  2. mica vero: fantozzi avrebbe forse ambito ad essere una “critica da sinistra” (che lessico!); ma in effetti si tratta evidentemente di puro lumpenproletariat. e difatti il nesso potemkin – zalone è illuminante e la dice lunga sulla rivincita della plebe.

    antonio

    gennaio 18, 2014 at 1:12 PM

  3. beh, quanto ho scritto è quanto dice lo stesso Villaggio (che non è Fantozzi e certo non è, e non era, un lumpenproletario), perciò il “mica vero” andrebbe quantomeno argomentato;
    le ragioni del perdurante travisamento non sono sinceramente in grado di individuarle, comunque sono abbastanza sicuro che oggi Zalone sostituirebbe giovannona o la polizia s’incazza (film che anche a quei tempi facevano miliononi di lire), non certo la potemkin (che non incassava neanche allora ma era molto proiettata e discussa nei cineforum)

    david

    gennaio 20, 2014 at 10:16 am

  4. certo, quello era quanto diceva villaggio, ma la ribellione di fantozzi in realtà è il tipico sbocco proletario anzi piccolo borghese (ancora più anatema, per la tradizione marxista). chiaramente a villaggio faceva gioco, per la buona coscienza rivoluzionaria della borghesia semicolta anni ‘70 a cui apparteneva, ammantarla di dignità rivoluzionaria.
    sull’altra cosa: non mi riferivo certo al film di eisenstein, ma alla scena della reazione fantozziana allo stesso che era l’argomento di vitiello! c’è regolarmente nei film di zalone la presa in giro rispetto alla cultura alta con velleità poetiche, nell’ultimo una scena fantastica di lui che gira un mattone cultural-avanguardistico indigeribile a san galgano (ossia sul set di nostalghia di tarkovsky – e ho detto tutto…).

    antonio

    gennaio 20, 2014 at 12:43 PM


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