Guido Vitiello

Demoni meridiani (La Controra, 1)

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Schermata 2015-06-21 a 13.29.22

L’anno scorso, per il Foglio, m’inventai una rubrica estiva che si chiamava La Controra. Ogni mercoledì, per undici settimane, dal 9 luglio al 17 settembre, scrissi di cose attuali in chiave inattuale, o di cose inattuali in chiave attuale: in un modo o nell’altro il tempo era sempre fuor di sesto, out of joint, come per Amleto. Vedete bene che se l’avessi pubblicata qui via via che usciva sul Foglio sarei caduto in una contraddizione lampante. Coerentemente con questa filosofia del ritardo (o dell’anticipo) sistematico, la presento dunque un anno dopo, ogni domenica fino alla fine di agosto, partendo dal solstizio d’estate, ossia da oggi.

***

Fu l’inglese Norman Douglas, vagabondo per la Calabria tra il 1907 e il 1911, la testa affollata di memorie ellenistiche, ad associare per primo la controra all’antica famiglia dei demoni meridiani. A Capo Colonna, non lontano da Crotone, nell’afa immobile e senz’ombra gli parve di rivivere quel mezzogiorno che per i Greci era l’ora greve, l’ora delle divinazioni e dei miraggi, quando i templi sono disabitati, le Sirene fiaccano i naviganti e le Ninfe portano al delirio i loro adoratori. “Adesso lo chiamano controra, l’ora di cattivo augurio. Uomini e bestie sono incatenati dal sonno, mentre gli spiriti si aggirano intorno, come a mezzanotte”. Così annotava in Old Calabria, al culmine del suo lungo itinerario da Lucera a Crotone. Citava poi il salmo 90, dove è detto che chi abita al riparo dell’Altissimo non avrà nulla da temere ab incursu et daemonio meridiano, dall’assalto del demone meridiano; geniale invenzione con cui i Settanta, seguiti da Girolamo, personificarono in demone quella che nel testo ebraico era anonima devastazione. Ma se il demonio meridiano era per gli asceti un tentatore insidioso, che veniva a visitarli nel deserto quando il sole era più alto e li macerava nell’accidia, il neopagano Douglas, cieco al discernimento degli spiriti, fu subito ammaliato dalle sembianze lusingatrici di quel genio “ingenuo e benigno”. Era caduto in sua balìa.

Eccola, la prima tentazione del mezzogiorno a cui molti ancor oggi soccombono: fare della controra l’immagine d’un ozio appagato, recitare sbadiglianti elogi della pigrizia e della lentezza, specchiarsi nel miraggio compiacente di un meridione interiore che è tutto lusso, calma e voluttà, proporlo perfino come antidoto alla concitazione della vita moderna; in breve, pietrificare il demone meridiano in pensiero meridiano. Il primo ostacolo a queste sdolcinature è forse già nella parola stessa, controra, che Matilde Serao (Il paese di Cuccagna) definì come “il periodo della giornata napoletana che equivale alla siesta spagnuola”. E però se la siesta rimanda alla sexta, l’ora canonica che corrisponde al mezzogiorno, la controra ha radici più incerte. Il Battaglia dà un esilissimo bandolo etimologico: “Voce meridionale, comp. da contro e ora”, e il senso di quel contro non è chiaro. Che si debba intenderlo nell’accezione del maleficio, come nella ominous hour di Douglas? L’opinione comune sembra più vicina a quella del lucano Leonardo Sinisgalli, che descrisse “quella parte bianca del giorno che da noi chiamano la controra, l’ora avversa” (così in Furor mathematicus). L’ora avversa: che impedisce il lavoro, deride qualunque sforzo come vana frenesia febbrile, si mette di traverso a ogni proposito, induce alla resa del sonno.

Sarà che sono frastornato dal mio personale demone meridiano, che si porta dietro bagagli e spazzolino per seguirmi ovunque da una vita (dopotutto, a Napoli ho fatto poco più che nascere), ma mi ostino a pensare che quel “contro” porti le tracce di una lotta feroce, sanguinosa, una lotta di Giacobbe con l’angelo; che la controra sia tutt’uno con quel pessimismo meridionale – altro demone dai leziosi adoratori – che vede ogni cosa correre verso la morte, come già per gli antichi asceti l’accidia non era che un travestimento della tristezza; che l’ora avversa sia insomma ripagata dall’avversione simmetrica di chi ne subisce la gravezza e l’oltraggio. Alla radice della controra sarebbe allora il dispetto, il risentimento verso il tempo che passa, l’odio riluttante verso l’ora; formula in cui filosofi molto lontani dalla Magna Grecia sentiranno forse l’eco di un’altra: l’“avversione della volontà contro il tempo e il suo ‘così fu’” di cui parlava Nietzsche. Ma lasciamo che l’eco si disperda. Scansati, Zarathustra: qui fa troppo caldo per il tuo grande melodrammatico “sì”, per tutte quelle pose e gesticolazioni filosofiche; lascia che il nostro rancore cuocia a fuoco lento, e che lo sprezzo sovrano contro il tempo lo si eserciti dissipandolo, sperperandolo, se è il caso dormendo in pieno giorno. Un visitatore da paesi lontani la scambierà per una beata quiete neopagana, e recitare la parte dei nuovi Lotofagi a beneficio dei turisti darà un certo gusto.

Ed ecco quindi questa mia colonna, che ha poco in comune con la colonna superstite del tempio di Hera Lacinia sotto cui Douglas incontrò il suo demone meridiano. Se quella era dorica, questa inclina al corinzio, che è l’elzeviro dei capitelli; e poggia per giunta sull’insolito plinto di un quotidiano, pur avendo il solo scopo di far sprofondare le notizie, i fatti e le voci nel dormiveglia della controra, in dispetto al demone ricattatorio dell’attualità.

9 luglio 2014

Written by Guido

giugno 21, 2015 a 1:55 PM

Pubblicato su Controra, Il Foglio

2 Risposte

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  1. Ma che bello questo pezzo! Vitiello un giorno i tuoi articoli saranno raccolti in un volume della Biblioteca Adelphi.

    Happolati

    giugno 21, 2015 at 3:22 PM

  2. Segnalo che la bella ‘mbriana (che saluto rispettosamente) era associata alla controra prima che ce lo dicesse il pellegrino inglese.

    david

    giugno 22, 2015 at 9:44 am


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