Prima o poi (La Controra, 5)
E cosa poteva temere Achille, mitologico bullo, da quel cavillatore di Zenone? In un balzo, prima ancora che il sapiente dalla lunga e veneranda barba avesse finito di esporgli il suo paradosso, sarebbe piombato sulla tartaruga e oplà, filosofo, eccoti una bella confutazione pragmatica. Ma immaginiamo che Zenone, per ripicca, avesse giocato l’astuzia contro il rigore: “Posa la lancia, semidio, e impugna questo scacciamosche: vediamo come te la cavi”. Ebbene, c’era poco da suddividere la traiettoria della paletta in intervalli infinitesimali o lambiccarsi il cervello con altre sottigliezze dialettiche: la mosca avrebbe ostentato immobilità eleatica fino a un istante prima dell’impatto, per poi guizzar via sotto il naso dell’eroe in un capriccioso impromptu eracliteo. Achille avrebbe dubitato dei suoi poteri, sarebbe sprofondato in una crisi nera, da piè veloce si sarebbe fatto chiamare mano lenta. Fine ingloriosa di una carriera – e tutto per colpa di una mosca.
Paradossi della controra, che è il ronzante sabba degli insetti, quando mosche e zanzare si danno convegno sotto il sole intorno alla carne di qualche idolo umano. Ma ci sono modi più immaginosi di guardare alla cosa. “La mosca che cercate di acchiappare se ne vola via, come se avesse indovinato le vostre intenzioni. Questa osservazione è di una semplicità e di una banalità che la fanno sembrare totalmente inutile e tale da scoraggiare ogni ulteriore riflessione, e invece è un’osservazione che racchiude in germe la scoperta più sensazionale che l’uomo possa fare”. Così annuncia Christian Dägerloff, inserviente di laboratorio all’Istituto Pasteur, al protagonista de L’occhio del purgatorio, romanzo di fantascienza scovato a suo tempo da Fruttero e Lucentini per la serie Urania e ora riproposto da Meridiano Zero. È un “libro unico” nell’accezione di Bazlen, e chissà che un giorno non finisca nel catalogo Adelphi tra Cristalli sognanti di Sturgeon e La nube purpurea di Shiel. Dell’autore, Jacques Spitz, si hanno poche notizie. La quarta di copertina dell’edizione Urania Mondadori dice che visse a Parigi, solo e ignorato, senza mai leggere un libro di fantascienza, e che i suoi maestri furono Kant e Valéry. L’occhio del purgatorio è del 1945.
Dall’inutilità dello scacciamosche il geniale Dägerloff deduce che le specie viventi non abitano tutte lo stesso tempo. Le mosche, per esempio, vivono in leggero anticipo rispetto agli uomini, e questo dà loro il vantaggio per fuggire. Nella scala temporale degli esseri, l’epiteto di piè veloce spetta al microbo, ed è per questo che contagiando un organismo più lento lo trascina nella sua corsa verso la morte. Di qui la vertiginosa fantasia del libro. Dägerloff crea in laboratorio un parabacillo che si acclimata nella mielina umana e fa in modo che il pittore Poldonski, nauseato dalla vita e a un passo dal suicidio, ne sia contagiato nel nervo ottico. Via via che la colonia di bacilli prolifera, cresce l’anticipo con cui gli occhi di Poldonski guardano il mondo, uno scollamento dal tempo che attraversa tutte le tappe dalla premonizione alla profezia. I fiori gli si mostrano già appassiti, i cibi avariati, gli uomini invecchiano sotto i suoi occhi fino a ridursi a scheletri camminanti. L’artista dipingerà il mondo con i colori della decomposizione: “Quel banco da macellaio abbandonato, quel contenuto fradicio di un bidone d’immondizia che è ormai per me la natura in primavera, gli uomini lo vedranno con i loro occhi. Li costringerò a riconoscere la verità sull’avvenire”. Le magnifiche visioni che Spitz presta al suo protagonista sono quadri secenteschi di Vanitas o danze macabre medievali soffuse di umor nero surrealista. Un corteo funebre sulla via del cimitero di Montparnasse, dove tutti – la vedova, gli orfani, il cocchiere e perfino il cavallo – sono ridotti a scheletri ispira Poldonski a dipingere una sua versione del Funerale a Ornans di Courbet. Dissoltisi anche gli scheletri, il mondo intero gli appare come un vasto deserto di ceneri.
L’occhio del purgatorio evoca a ogni pagina il caratteristico “delirio di fine del mondo” degli schizofrenici, come anche la visione delle ossa aride del profeta Ezechiele (37, 1-14). Evocazioni non così contrastanti, perché la letteratura sull’ipotetica schizofrenia di Ezechiele è perfino più antica di Karl Jaspers. È questione di stare (o di non stare) a tempo: rispetto al perenne mezzogiorno del presente, la coscienza umana oscilla come la lancetta di un metronomo, a volte con pericolosa ampiezza, rischiando di non tornare più indietro. Kimura Bin (Ecrits de psychopathologie phénoménologique, 1992) suggerisce che il melanconico vive post festum, nella fissazione retrospettiva su un appuntamento perduto, e lo schizofrenico ante festum, in una perenne e angosciosa anticipazione del futuro. Ha l’occhio del purgatorio.
L’occhio della controra porta invece un piccolo ritardo, che si mantiene entro i limiti delle buone maniere. Quel tanto da impedirci di acchiappare una mosca.
6 agosto 2014
romanzo eccellente. Tuttavia la nube è di Matthew P. Shiel, non “Shils”.
eliaspallanzani
luglio 19, 2015 at 3:56 PM
giusto, correggo subito (erano cose che scrivevo da una casa al mare, andando più o meno a memoria)
unpopperuno
luglio 19, 2015 at 7:16 PM
(e ovviamente, per deformazione professionale, l’ho scambiato col sociologo)
unpopperuno
luglio 19, 2015 at 7:17 PM
btw da questo romanzo è stato tratto un dylan dog (http://www.cravenroad7.it/public/wikimg/d/d2/Dyd95.jpg) e ne avevano tratto anche un corto, che però non troviamo più: http://web.archive.org/web/20130213045532/http://www.posthuman.it/index.php?option=com_content&task=view&id=15&Itemid=29
eliaspallanzani
luglio 22, 2015 at 10:09 PM