Guido Vitiello

Insidiose sirene (La Controra, 6)

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Schermata 2015-07-26 a 10.11.00Orazio raccomanda di fuggire le tentazioni della pigrizia, “insidiosa sirena”, e a noi quassù, appollaiati come stiliti su una colonna di carta e d’inchiostro, delle sue ramanzine non giunge neppure l’eco. Ma come potevamo noi poltrire, quando una notizia sgusciata fuori dalla rete a strascico delle cronache è venuta ad arenarsi sui lidi della controra, rotolando proprio davanti ai nostri piedi? Giovedì 7 agosto i sommozzatori hanno ripescato dai fondali di Lampedusa il cadavere di una sirena in decomposizione, ed è stato subito chiaro che il caso ricadeva sotto la nostra giurisdizione; anzi, si può dire che un miraggio mitologico è la sola cosa che da queste parti meriti il nome di notizia. Le sirene appaiono ai naviganti quando fa bonaccia, sotto il sole a picco, tanto che Roger Caillois le mise in testa al suo corteo dei démons du midi e l’epicureo Norman Douglas intitolò Siren Land (1911) il suo quaderno di viaggi nel meridione d’Italia, in cerca di donne-pesce nelle grotte di Capri. L’occasione imponeva di svegliarsi e infilare le pantofole.

Delimitata con un nastro la scena del crimine, la prima incombenza era accertare le cause del decesso. Dalle indagini iniziali, l’ipotesi più plausibile sembrava il suicidio. Una tradizione antica e crudele, che si è depositata sui papiri dei mitografi come nelle figure rossoarancio dei pittori vascolari, vuole che le Sirene si siano uccise, impazzite di rabbia e di sdegno, dopo lo smacco inferto loro da Ulisse. Ma non è detto che serva un’umiliazione così eroica: la Sirena depressa di Wilcock, confinata in un fiume inquinato, “alloggia sotto il relitto nerastro di una barca affondata, un mucchio di legni marci incastrati nel fango, tra scatole arrugginite, bottiglie, scarpe viscide e pesci piatti con gli occhi sulla schiena, ripugnanti”, e tenta due volte il suicidio con i tubetti di barbiturici trascinati dalla piena. Va da sé, le nostre sono indagini condotte in poltrona, come quelle di Nero Wolfe, tra le orchidee di un ideale giardino pensile; e hanno per informatore lo stravagante ed enciclopedico libro di Meri Lao, Le Sirene (da Omero ai pompieri), pubblicato una trentina d’anni fa dall’editore Antonio Rotundo, che raccoglieva, o meglio accatastava, notizie sulle Sirene di ogni tempo e latitudine. Quando infine è arrivato il referto del medico legale – la Sirena di Lampedusa era in realtà il fotogramma di una Sirena – altri pensieri si sono affacciati.

Le Sirene sono i galli segnavento dello Spirito del tempo, e prudenza impone di prestare attenzione al dibattersi delle loro code, alle loro cicliche sparizioni e riapparizioni. Il Novecento si è annunciato tra il Prufrock di T.S. Eliot, ignorato a bella posta dalle incantatrici marine (“Ho udito le Sirene cantare l’una all’altra. Non credo che canteranno per me”), e l’Ulisse di Kafka che è circondato senza saperlo dal loro terribile silenzio, diciamo pure dal loro canto in playback. Nella morte delle Sirene si è voluto vedere, il più delle volte, l’annuncio di un avvicendamento d’eoni: tramonto del paganesimo, instaurazione del patriarcato, fine della cultura orale e del potere incantatorio dei suoni, crollo della mente bicamerale, eclissi del sacro. La tentazione è di mutare di segno queste morti per leggere nei recenti avvistamenti di Sirene altrettante rinascite – del sacro, del paganesimo, del matriarcato, eccetera – ma è una tentazione da intelletti pigri, che si meritano le rampogne di Orazio. Più interessante è che il motivo mitologico delle Sirene si intrecci oggi al grande tema della cospirazione. Le donne-pesce esistono, ma per qualche oscura ragione i potenti del mondo vogliono tenere per sé questo segreto. La Sirena diviene così la controparte equorea dell’alieno di Roswell, un Oggetto Natante non Identificato: quello era piombato dai cieli, questa affiora dai mari. Né l’uno né l’altra sono circondati dal timore reverenziale che ci si aspetterebbe di veder tributato a un ospite sacro. Il pupazzetto spaziale fu sottoposto ad autopsia, e lo stesso è toccato in una docufiction bislacca alla nuova arrivata, su cui forse incombe la fine immaginata da Malaparte, che servì in tavola una “Sirena alla maionese con contorno di coralli”. Di religioso, come si vede, c’è ben poco. A rivestirsi di attributi sacri sono piuttosto i Cospiratori che tengono in ostaggio la verità; e un occhio attento vede che intorno all’ossessione del complotto si vanno radunando gli dèi più arcaici e feroci. È nelle stanze degli Arconti osceni, nei loro party olimpici o nelle loro notti di Valpurga, non certo sul fondo dei mari che abitano i revenant della paganità.

Dovremmo allora abbandonare le indagini, spegnere il canto delle Sirene come un fastidioso antifurto, tornare a poltrire? Forse la cera nelle orecchie è una precauzione eccessiva. In una vignetta di Kaplan apparsa anni fa sul New Yorker, una signorotta infazzolettata chiacchiera con l’amica: “Ho udito le Sirene cantare l’una all’altra. Gli ho detto di fare meno chiasso”.

13 agosto 2014

Written by Guido

luglio 26, 2015 a 10:15 am

Pubblicato su Controra, Il Foglio

3 Risposte

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  1. “dunque sono morto, per davvero. e chi mi ha ucciso? non so se voi o io stesso, so soltanto che entrambi abbiamo qualche colpa in questo; proprio come accade a colui che la sirena uccide, dopo averlo addormentato con il suo canto. vi sono infatti tre specie di sirene, due delle quali sono metà donna e metà pesce, la terza metà donna e metà uccello. e tutte e tre sono musicanti: le une suonano la tromba, le altre suonano l’arpa e le ultime cantano; e la loro melodia è tanto piacevole che nessun uomo, per quanto lontano sia, può udirle senza essere costretto a venire da loro. quando è vicino si addormenta; e quando la sirena lo trova addormentato lo uccide. perciò mi sembra che la sirena abbia grave colpa nell’ucciderlo a tradimerito e l’uomo grave colpa nel fidarsi di lei. e se io sono morto in circostanze analoghe, ne abbiamo colpa sia voi che io. ma non oso accusarvi di tradimento e addosserò tutta la colpa su di me soltanto, dicendo che sono stato io stesso ad uccidermi.”

    r. de fournival, bestiaire d’amours

    eliaspallanzani

    luglio 26, 2015 at 5:43 PM

    • Libro che amo moltissimo, nell’edizione curata da Zambon

      unpopperuno

      luglio 26, 2015 at 6:52 PM

      • ah, ovviamente è “a tradimento”, non “a tradimerito”, e il lapsus non è privo di significato.

        eliaspallanzani

        luglio 26, 2015 at 8:50 PM


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