Le avventure del giovane Montanelli
Leggere la vita del giovane Montanelli è un po’ come leggere le avventure di Tintin, che d’altronde era lui pure un reporter. Dagli episodi raccontati nella biografia che gli ha dedicato Salvatore Merlo, Fummo giovani solo una volta (Mondadori), si potrebbe ricavare una fantastica serie a fumetti. Qualche titolo suggerito: “Indro e la carovana degli zingari”, sul viaggio dall’Albania alla Grecia nel 1939; “Indro e la piccola Destà”, la dodicenne abissina che comprò in moglie per poche lire durante le imprese coloniali; “La volta che Indro incontrò il feroce Adolf”. Le passioni del giovane Montanelli, d’altronde, erano Salgari e soprattutto Kipling. Teneva appesa nello studio di Milano una sua poesia incorniciata, If. E gli scrisse, quando ne ebbe occasione: “Sappia che io parto per colpa sua. Perché io vado in Abissinia per avere letto Kipling”. Merlo segue l’imbeccata e dà alla sua biografia un piglio da romanzo d’avventure. Ma si ritrova tra le mani un eroe non proprio tagliato per il ruolo di Sandokan: scettico, ironico, malmostoso. Un’indole covata fin dall’infanzia e destinata a dischiudersi dopo l’incontro con Longanesi, che seppe tirar fuori il suo “spiritello sarcastico” e soprattutto lo perfezionò nell’arte paradossale di star dentro alle cose e alle idee standone fuori, o tenendosene al margine. La stecca nel coro (titolo di una sua raccolta di articoli) è metafora perfetta: non tanto per la stecca quanto per il coro, rispetto al quale Montanelli seppe stonare, a volte fragorosamente, a volte a naso turato, a volte dando perfino il “la” per una nuova cantata, ma senza discostarsene mai troppo. O, come scrisse un epigrammista infallibile come Giorgio Calcagno canzonando una sua celebre rubrica: “Troppo facile, Indro/ Scriver Controcorrente/ Traendo dal cilindro/ Quel che pensa la gente”. IL, marzo 2016
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