Guido Vitiello

Pseudomnesie di un cinefilo

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Ci fosse stato a Roma un cinema come il Brady, la mia adolescenza stralunata sarebbe stata forse meno solitaria. Al Brady di Parigi, negli anni Settanta, poteva capitare di imbattersi in rassegne tematiche dove Monica e il desiderio di Bergman era abbinato a Distruggete Frankenstein!, saltando con naturalezza dalla serie A alla serie Z. Qui era tutto più faticoso. Ricordo il pellegrinaggio notturno (tre autobus diversi) che dovetti fare, quindicenne, per raggiungere un cineclub in periferia dove proiettavano La Soufrière di Herzog. Per metter mano su film come Non si sevizia un paperino di Fulci, invece, l’unica via era ricorrere a oscuri contrabbandi con amici di amici che potevano procurarti di straforo una videocassetta duplicata. Colpo rovente, un bizzarro poliziesco psichedelico dove Carmelo Bene faceva una particina come sicario, lo trovai solo in una costosissima copia sottotitolata in greco moderno. Soprattutto, non c’era modo di condividere queste passioni troppo alte o troppo basse, simmetricamente snob: il mio ricordo meno solitario è una ferale proiezione pomeridiana (quasi quattro ore) di Intolerance di Griffith all’Azzurro Méliès, un cineclub di Prati, quando mi trovai in sala tra un ometto dall’aria losca con la giacca a quadri che scriveva freneticamente su un taccuino e una coppia di pallidissimi dark avvinghiati.

Al Brady di Parigi, la compagnia dei freaks era molto più nutrita. Jacques Thorens, un francese di origini bulgare che dal 2000 è stato proiezionista e factotum di quel cinema di quartiere al 39 di Boulevard de Strasbourg, una delle ultime catacombe dell’eresia cinefila, la descrive in uno scanzonato e malinconico romanzo-memoriale appena pubblicato da L’Orma: “Barboni, disoccupati stanchi di vivere, minorati mentali erranti, un cinese sciancato e vagabondo. E poi pensionati solitari, dementi, vecchi omosessuali magrebini e proletari, un esibizionista, due giovani prostitute algerine, qualche scapolo annoiato”. Tutta gente che faceva del cinema un uso improprio – dormitorio, bordello, albergo a ore – posto che ce ne fossero di propri. E poi c’erano i cinefili, gli amanti dei film di serie A e di serie Z.

Ho sempre sospettato che la mia apparente schizofrenia adolescenziale – con l’occhio destro guardavo I racconti di Canterbury di Pasolini, con il sinistro I racconti di Viterbury di Caiano, con il destro Il portiere di notte della Cavani, con il sinistro L’ultima orgia del Terzo Reich di Canevari – non fosse poi tale. Tutto sommato, quei film avevano in comune più di quanto si creda – fatti male, recitati peggio, e tuttavia irresistibili nelle loro oltranze, che li portavano a tracimare imprevedibilmente nel kitsch o nel sublime. Thorens conforta la mia impressione, specie nelle pagine de Il Brady in cui racconta i litigi con un amico cinefilo che si rifiutava di comparare Ilsa la belva delle SS e Salò di Pasolini, due film sgangheratamente radicali e radicalmente sgangherati su fascismo e sadomasochismo. Capì di aver vinto la sua battaglia quando, anni dopo, li trovò affiancati in una voce su Wikipedia. Ma a volte vittoria è un eufemismo per dire sconfitta: quando, con Tarantino e i suoi, il cinema dei dannati sarà riscattato dalle tenebre, deliziosi inferni come il Brady non avranno più ragion d’essere. E io mi ritrovo con la nostalgia di un luogo mai conosciuto (a pensarci, è la definizione stessa della nostalgia).

Il Foglio, 7 aprile 2017

 

 

Written by Guido

aprile 30, 2017 a 4:36 PM

Pubblicato su Il Foglio, Mani bucate

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