Guido Vitiello

Non l’assassino ma l’assassinato è colpevole

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Prodigo irresponsabile che sono: si avvicina di nuovo lo spettro delle file ai bancomat, e io mi ostino a tenere una rubrica che invita a sperperare soldi in libri. Stavolta, però, prometto di non indurre in tentazioni troppo grandi le mani bucate del lettore. Appena trecentocinquanta lire – la moneta delle memorie più dolci e delle premonizioni più nere. Quand’ero bambino, per quel che posso ricordare dei tabelloni dei gelatai, con quella somma ti ci compravi uno Zaccaria, un cono sormontato da una cupola di cioccolato; quand’era bambino mio padre, nel 1946, potevi invece procurarti un Golia, che non era un gelato ma un libro di Giuseppe Antonio Borgese sulla marcia del fascismo in Italia (“forse il più grande libro che si sia scritto sul fascismo”, diceva Leonardo Sciascia: e con buona ragione). Borgese lo aveva pubblicato in inglese a New York nel 1937, e quando Mondadori nel dopoguerra poté stamparne la traduzione italiana dovette farlo in edizione provvisoria. Sul retrofrontespizio della mia copia da trecentocinquanta lire si legge: “Le enormi difficoltà tecniche e di approvigionamento di materie prime ci costringono a rinunciare, per il momento, a quella cura e perfezione tipografiche che sono tradizionali della nostra Casa”. Non so cosa ne abbiano trattenuto o respinto poi gli storici, ma Golia è prima di tutto l’opera di uno scrittore, che da ogni pagina di cronaca sa spremere una stilla di verità letteraria, e che continuamente dietro le maschere dei teatranti politici vede occhieggiare gli archetipi romanzeschi.

C’è una pagina che da mesi non mi si leva dalla testa. Dice così: “Un romanziere contemporaneo ha scritto un romanzo intitolato: Non l’assassino ma l’assassinato è colpevole: questo, in un certo senso, si può adattare all’Italia e al suo conquistatore” (Borgese non ne fa il nome, ma il romanziere è Franz Werfel; che di lì a poco, come lui, sceglierà l’America per stare il più lontano possibile dai nazisti). “Questo processo di rovina voluta e di complicità suicida è stato riscontrato dagli scienziati tanto fra gli uomini quanto nel mondo animale. Havelock Ellis, trattando dell’isterismo individuale e collettivo, ha scritto: ‘Si dice che, quando uno sciame di api briganti entra in un alveare per portar via il miele, le legittime proprietarie dell’arnia talvolta rimangono così suggestionate che passano dalla parte delle assalitrici e aiutano a distruggere i frutti delle loro stesse fatiche’”. Eccola, more zoologico demonstrata, la capitolazione di quel che resta dei ceti dirigenti italiani davanti all’invasione di uno sciame di insetti di altra e più petulante specie. La complicità suicida descritta da Borgese la riconosciamo ogni giorno nella corte di sonnambuli e di affatturati che nessun mago sembra voler sciogliere dall’incantesimo. E forse è già troppo tardi.

Un’altra pagina mi ronza in testa la mattina quando sfoglio il Corriere della Sera, che da qualche tempo ho ribattezzato il Facta Quotidiano (in compenso, il Fatto lo chiamo FanCulPop). È quella in cui Borgese lamenta “la tendenza del liberalismo italiano a prender l’aspetto più di una superstizione miracolosa che di una religione militante. Pochi o nessuno si opponevano alla teoria e alla prassi, secondo cui la libertà deve essere liberale anche verso coloro che vogliono ammazzarla. Pochi o nessuno avevano capito il significato del severo detto secondo cui il prezzo della libertà è una vigilanza eterna. Libertà di parola e di istituzioni era per loro una proprietà di famiglia, legittimamente ereditata dagli avi italiani ed europei e avrebbero piuttosto creduto che i fiumi potessero risalire i monti, che non la civiltà potesse retrocedere”. E un’ultima pagina ancora mi tormenta, su quella che rischia di essere la disastrosa illusione dei giolittiani del Pd e del loro Giolitti che sta a guardare pregustando la rivincita: “Dopo qualche urlazzo, egli, come Giove sorridente dopo il temporale, avrebbe nuovamente capeggiato una stupenda maggioranza, gettando un arcobaleno liberale sopra il Parlamento e sopra il paese”. Non andò proprio così.

Il Foglio, 19 maggio 2018

 

Written by Guido

giugno 2, 2018 a 10:46 am

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