Guido Vitiello

Profondo rozzo. I trumpiani di provincia e il deep state

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La grande onda gialloverde, a dispetto del suo fragore, non ha ancora depositato a riva nessuna idea nuova che valga la pena discutere. E dire che sono in molti a tentare di cavalcarla, pagaiando affannati con le braccia, a pancia in giù sulle loro tavole da surf: cattolici slavofili che si affidano al gladio del nuovo zar per spazzar via l’apostasia mondialista del drago a due teste Soros-Bergoglio, magari con la benedizione di qualche Augusto Del Noce in sedicesimo, diciamo pure qualche Del Nocciolina; evoliani ringalluzziti perché il Barone nero è stato salvato e riportato sul bagnasciuga da due scafisti intellettuali, uno sbarcato dall’America (Bannon) e l’altro dalla Russia (Dugin), con Fusaro e Giulietto Chiesa vicescafisti; qualche reaganiano chiassoso da mercato rionale (sempre mercato è) convinto che la grande onda sia quella del capitalismo che si rinnova, roba da Tea party sotto allucinogeni. Più defilati, e con meno mulinar di braccia, ci sono poi stimabili liberal-conservatori che si struggono per rivivere con Salvini l’amore bovaristico che li legò (con qualche ragione in più) a Rodolphe-Berlusconi, illusi che, al di là delle intemperanze da burbero, stia creando il grande partito conservatore. E questo senza neppure contare il think tank della dinastia Casaleggio, che in anni di pensosa elaborazione tutto ciò che ha saputo produrre è un antiparlamentarismo da rivincita dei nerd e un rousseauismo da liceo occupato.

L’onda è imponente, ma cosa resta, a riva? Ciottoli di vecchie ideologie che ritornano ciclicamente – sempre più levigate dagli anni, sempre più indistinguibili da souvenir-patacca; qualche conchiglia dalla forma bizzarra e orrida (sostituzione etnica? oh ma che curiosa balordaggine, le do un’occhiata e la ributto in acqua); distese di meduse morte, o che si speravano innocue dai tempi dello sbarco in Sicilia; e soprattutto bottigliette di plastica di cattiva importazione, equipaggiamento immancabile nei marsupi dei nostri trumpiani di provincia o di strapaese. Siamo seri, si può giocare al teatrino dell’establishment contro il popolo in un paese in cui i superprivilegiati e gli ultrareietti sono regolarmente insieme sulle barricate contro qualunque riforma, in cui tutti si aspettano tutto dalla munificenza della politica? Ultimamente, poi, la formula che va per la maggiore negli attici degli opinionisti e nei seminterrati dei commentatori comuni – sempre più indistinguibili – è deep state. Chi non ha voluto Savona all’economia? Il deep state. Chi ha posto il veto su Foa alla Rai? Il deep state. Chi ha manomesso nottetempo il decreto dignità? Il deep state. Chi si prepara a disarcionare Salvini in autunno con qualche manovra di palazzo? Che domande, il deep state.

Neppure a dirlo, negli scrigni di questo Stato profondo che opera per sabotare i capi eletti dal popolo ciascun sommozzatore dei fondali della paranoia trova un po’ quel che vuole – gli eurocrati, Mattarella, il patto del Nazareno, la finanza globale, il piduismo perenne, SpongeBob, la lobby gay, la Corte costituzionale, i cattocomunisti degli abissi. Ma se prendiamo la formula nell’unico senso accettabile da una persona raziocinante – ossia: in un sistema istituzionale complesso esistono alte burocrazie, magistrature, boiardi di Stato o di sindacato che perpetuano i loro poteri e perseguono le loro agende in modo relativamente indipendente dal succedersi degli esecutivi – ecco che arriva la terribile rivelazione: il sottomarino è giallo, anzi, gialloverde. Mai governo, dal 1992 (l’anno dell’affondamento dei poteri elettivi per l’impatto col grande iceberg), era stato espressione così sfacciata e trionfale dello Stato profondo italiano, delle sue corporazioni, delle sue burocrazie e delle sue fazioni ideologiche, che infatti formarono un’onda sola per mandare a picco il referendum costituzionale. È la stessa onda che ha deposto ai nostri piedi il mostro gialloverde, e di abissale c’è solo la grossolanità dei suoi propagandisti. Profondo rozzo.

Il Foglio, 4 agosto 2018

Written by Guido

agosto 12, 2018 a 12:00 PM

2 Risposte

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  1. Caro Guido, quando leggo cose come questa tua, mi sfiora la tentazione di abbonarmi al Foglio :)

    Federico Gnech

    agosto 12, 2018 at 3:14 PM

  2. “Le innovazioni, le decisioni proiettate nel futuro da un pezzo non partono più dalla classe politica. Al contrario: soltanto quando un’idea nuova si è ridotta a banalità, partiti e governi cominciano a pensarci. Le decisioni effettive vengono prese in sedi decentrate, in un sistema nervoso ramificato che non è controllabile da nessun punto. La politica, come dicono i teorici, diventa un processo stocastico. In tal modo gli organi centrali perdono autorità e peso. Il loro spazio si riduce, ma diminuisce anche la loro pericolosità. Il governo diventa una tigre di carta.”
    Hans Magnum Enzensberger da Mediocrità e Follia – 1988

    Marco Volani

    agosto 16, 2018 at 6:40 am


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