Vargas Llosa y el Partido del Amor
Hanno scritto che è una vittoria per la destra svedese; che è una vittoria per la destra autoritaria latinoamericana; che è una vittoria per i razzisti e i nemici dell’immigrazione; che è un premio dato a uno che è non solo “neo-liberale” ma anche macho e sessista. La sinistra radicale svedese, a quanto pare, non ha reagito bene al Nobel a Mario Vargas Llosa, come ha raccontato martedì Johan Norberg sul magazine libertario online Spiked:
People who never voiced any concerns about the politics of other Nobel Prize winners – like Wisława Szymborska, who wrote poetic celebrations of Lenin and Stalin; Günter Grass, who praised Cuba’s dictatorship; Harold Pinter, who supported Slobodan Milošević; José Saramago, who purged anti-Stalinists from the revolutionary newspaper he edited – thought that the Swedish Academy had finally crossed a line. Mario Vargas Llosa’s politics apparently should have disqualified him from any prize considerations. He is after all a classical liberal in the tradition of John Locke and Adam Smith.
Da noi, per fortuna, le cose sono andate un po’ meglio: perfino Gianni Minà nel suo commento è stato meno malevolo del previsto, e non ha mai messo in dubbio che il Nobel fosse meritato.
Tutt’al più – se non fosse che le ironie su Minà son venute a noia non meno di quelle sulle sgrammaticature di Biscardi – dovrebbero far sorridere le parole con cui il nostro ha riassunto la svolta politica (leggi: rinsavimento) dello scrittore peruviano, prima castrista e poi liberale: “Dalla metà degli anni ’80 cambiò idea e non gli riuscì più di essere generoso con quell’amore che tanto influenza ancora il continente”. D’altra parte, lo insegnano le vicende italiane: se ti sottrai all’abbraccio del partito dell’amore, non può venirne nessun bene.
A dirla tutta, Vargas Llosa aveva già perso l’occasione per essere generoso con il partito dell’amore quando – correva l’anno 1967 – Fidel Castro gli chiese di devolvere pubblicamente alla Revolución i soldi vinti con il Premio Rómulo Gallegos. Lo scrittore obiettò che quei soldi gli servivano per comprar casa, ma Castro gli assicurò che si trattava solo di propaganda e che glieli avrebbe ridati sotto banco. La cosa però non si fece, e quella fu la prima incrinatura nei rapporti tra Vargas Llosa e il regime cubano, come racconta Maurizio Stefanini su Limes. In caso contrario, un giorno lo scrittore si sarebbe risvegliato con una casa nuova di zecca venuta da chissà dove: è il metodo Scajola, il realismo magico al potere.
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