Guido Vitiello

Un Kurtz bibliofilo e il suo cuore di tenebra in sedicesimo

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Dice Alexander Pope nel Saggio sull’uomo che il vizio è un mostro dall’aspetto così raccapricciante che per detestarlo basta che lo si veda; ma a forza di guardarlo, il suo volto ci diventa familiare, e va a finire che “prima lo sopportiamo, poi lo compatiamo, infine lo abbracciamo”. E un vizio troppo abbracciato, vezzeggiato e coccolato perde la sua franchezza quasi eroica, la sua spavalda dismisura, cede a una compiacenza un po’ stucchevole. Beati i lussuriosi, i golosi, gli accidiosi; ma quando si mettono a gigioneggiare con il loro vizio, è allora che vengono a noia. Se questo è vero per i vizi capitali, lo è tanto più per quello che Valéry Larbaud chiamava il vice impuni, il vizio impunito: la lettura. Che non è da meno del vino, dei sigari e delle belle donne: un trattatello di Louis Bollioud-Mermet, De la Bibliomanie (1761), riconosceva nell’amore smodato per i libri “un rovinoso eccesso di cui sarebbe importante arrestare l’avanzata”. Eppure se ne va fieri, e non si perde occasione di ostentarlo.

Ne consegue che i libri sulla bibliofilia e la bibliomania peccano per lo più di quell’affettazione che è tipica dei vizi allo specchio. Con poche eccezioni. Qualcuna d’epoca – Le Bibliomane di Charles Nodier, Mendel dei libri di Stefan Zweig – e qualcuna più recente, come il libriccino che Sellerio pubblica in questi giorni: La casa di carta dell’argentino Carlos María Domínguez. Il racconto, di appena ottanta pagine, si apre con una rassegna tragicomica di incidenti legati ai libri: un professore di lingue classiche rimasto emiplegico dopo che gli sono caduti in testa cinque volumi dell’Enciclopedia Britannica, un cane cileno morto d’indigestione dopo aver divorato i Karamazov. E c’è soprattutto il caso della professoressa Bluma Lennon, investita da un’auto mentre passeggiava senza scollare gli occhi dalle poesie di Emily Dickinson. Il narratore è un collega della professoressa, e si trova tra le mani un pacco dall’Uruguay destinato alla defunta. Dentro c’è una copia della Linea d’ombra di Joseph Conrad tutta incrostata di malta e di cemento, con la dedica a un certo Carlos, e da qui si avvia un’avventurosa ricerca, tutta conradiana, sulla falsariga di Cuore di tenebra più che di Linea d’ombra. Si tratta di scovare un leggendario bibliomane che ha dato di matto al punto da costruirsi su una lingua di spiaggia sperduta una casupola fatta tutta di libri al posto dei mattoni: “un Borges per completare la base della finestra, un Vallejo accanto alla porta, con sopra Kafka e di fianco Kant, e una dura edizione rilegata di Addio alle armi, di Hemingway”.

Da uno scrittore argentino che scrive di libri e biblioteche ci si sarebbe aspettati il solito esercizio borgesiano – e la quasi certa caduta nel lezio iperletterario. E invece, è proprio questo insolito connubio di Conrad e bibliofilia a salvare il racconto, e a fare della fame di libri non un trastullo da inchiostrati e occhialuti ma un vizio caparbio, mortale, che può portare alla rovina non meno della tenebrosa megalomania di Kurtz. Con giudizio, però: la casa de papel del bibliofilo Carlos non è la capanna di Kurtz, non ha attorno un cerchio di teste mozzate infisse su pali – semmai, “un rimasuglio di Eliot, un altro di Lorca, La civiltà del Rinascimento di Burckhardt, incrostato di minuscole chiocchiole di mare, un Pallière irriconoscibile e catramato”.

Articolo uscito sul Foglio il 15 giugno 2011 con il titolo Il vizio caparbio e mortale di leggere porta alla rovina ma non troppo

Written by Guido

giugno 16, 2011 a 10:47 am

Una Risposta

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  1. […] stessi personaggi che raccontano di Brauer si deve soprattutto l’appassionata difesa del vizio impunito per eccellenza, a cavallo tra mania di possesso e insaziabile fame di lettura, dove procurarsi un […]


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