Guido Vitiello

Il dio assassino. Su una sequenza di “Tenebre”.

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Gli amici della rivista online Quaderni d’altri tempi mi hanno chiesto di commentare una sequenza di un film che mi fosse, per una ragione o per l’altra, particolarmente cara. Ne ho scelta una da Tenebre (1982) di Dario Argento. Per parlare del cinema moderno si usa spesso la formula arcinota di Alexandre Astruc, la caméra-stylo, la macchina da presa usata come una penna. Si tende a dimenticare che lo stilo è anche un pugnale. In cinque deliranti minuti, probabilmente i migliori di tutto il suo cinema, Argento fa riaffiorare questa antica identificazione. O almeno è quel che provo a sostenere in queste note, forse altrettanto deliranti.

***

Niente male, per un film che si chiama Tenebre: una donna tutta vestita di bianco, con una borsa bianca, entra in una casa bianca e si mette a conversare con un’altra donna, la sua amante, avvolta in un telo bianco. Si affaccia alla finestra, dalle tende bianche, e sembra avvertire una presenza minacciosa. Da qui parte un tour de force registico che non ha pari nel cinema di Dario Argento, un long take delirante, quasi un piano-sequenza, che sfugge a qualunque classificazione, realizzato con la leggendaria Louma (una gru snodata su cui è montata la macchina da presa, e che consente acrobazie e traiettorie impossibili). È una soggettiva dell’assassino? È un’oggettiva irreale, come quella che apre L’infernale Quinlan? (continua a leggere su Quaderni d’altri tempi)

Written by Guido

luglio 25, 2011 a 8:03 PM

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