La signora Vinodellacasa. Riceviamo e volentieri pubblichiamo
La verità, confesso, è che non so nulla e non m’interessa nulla di Amy Winehouse, della cui esistenza ho appreso quando ormai aveva cessato di esistere. Ma l’idea che qualcuno possa rivolgersi a UnPopperUno come a una testata tra le altre, chiedendo di ospitare un suo intervento, era irresistibile per la mia megalomania. Dunque, ecco a voi un commento di Andrea Minuz – studioso di cinema, collaboratore del Riformista e de Gli Altri – nell’attesa e nella speranza che voglia aprire un blog tutto suo. Diciamo pure: un divano-letto mentre finisce di traslocare in rete.
«It was only a matter of time». È la dichiarazione, lucida e impietosa, che Janis Winehouse ha rilasciato a proposito della morte di sua figlia. Janis ha 56 anni ma ne dimostra meno. È una farmacista, diplomatasi alla London School of Pharmacy. Prima di questi giorni, in cui ha i riflettori puntati addosso, era sempre stata nell’ombra. Tranne una volta, nell’estate del 2007. In un’intervista al Mail on Sunday, tracciava un ritratto del suo rapporto con Amy. Spiegava che, nonostante gli sforzi e le attenzioni, si sentiva impotente di fronte all’inesorabile discesa di sua figlia nella dipendenza dalle droghe e dall’alcool. «Era inutile, arrabbiarmi con lei non portava a nulla». «Nel distruggersi è caparbia come è sempre stata sin da bambina»; «questa non è mia figlia; è come se la sua intera vita si fosse trasformata in una recita sul palcoscenico»; «il suo è letteralmente un percorso di automutilazione. Cosa sono altrimenti quei tatuaggi? Li detesto». Nel 2003, mentre il mondo acclamava l’esordio discografico di Amy Winehouse, a Janis veniva diagnosticata una sclerosi multipla degenerativa che combatte ancora oggi con la stessa tenacia con cui sua figlia si autodistruggeva. «Brucia e fa male, ma sento che ora non posso aiutarla, deve volerlo lei per sé stessa, e ogni giorno prego perché ne trovi la forza».
Così si chiudeva l’intervista. Immaginiamo per un momento di trasferire questa storia in Italia. Che avrebbe detto la signora Vinodellacasa, intervistata a caldo dai giornalisti? La sequela di «spostamento-e-condensazione» all’italiana, in questi casi prevede: «Me l’hanno ammazzata»; «Mia figlia è stata usata»; «Indagate su Lady Gaga»; «Lo Stato non ci ha mai aiutato». Forse avrebbe denunciato la EMI, MTV, il Ministero per le politiche Giovanili, i suoi partner, il maestro delle elementari, e tutti i pusher di Camden Town.
Ogni sfogo le avrebbero perdonato. Ma «purtroppo, era solo questione di tempo», buttato lì così, senza strapparsi i capelli, e – peggio ancora – senza nessun altro colpevole che sua figlia stessa, no. Imbarazzo generale. Un insulto all’accecamento d’amore che qui esigiamo straripante, vendicativo, al caso anche complottista e ai confini della legalità. Un velato linciaggio tra i salotti di Vespa e Barbara D’Urso, editoriale critico di «Avvenire», sondaggio tra i lettori di «Repubblica», i vicini che non la salutano più, e tutta la trafila di perplessità ai ceti alti e sdegno in quelli bassi. Chissà, forse succederà anche lì, non si può mai dire. E magari, come fece nel 2007 con l’intervista del Mail, Janis devolverà gli introiti delle apparizioni pubbliche nella ricerca contro la sclerosi multipla.
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