Alessandro Zaccuri su “Mistica senza Dio” di Fritz Mauthner
Si cerca di fare il giro più largo, ma poi è sempre lì che tocca fare tappa. In Mitteleuropa, nell’inquieto primo Novecento: nel tempo e il luogo in cui la modernità si trasfigura, rivoluzionando le tradizioni conosciute e istituendone di nuove, prima fra tutte la psicoanalisi. È un’epopea contraddittoria e fastosa, di cui crediamo di conoscere bene ogni antieroe, ma che può ancora riservare incontri sorprendenti.
Come quello con Fritz Mauthner, morto nel 1923, a 74 anni, dopo aver portato a termine una serie di opere ambiziose, tra le quali spicca l’imponente Storia dell’ateismo in Occidente che il lettore italiano può consultare online sul sito dell’Uaar. Esatto, l’Unione atei e agnostici razionalisti, quelli che non perdono occasione per polemizzare con la Chiesa. Ma attenzione, perché Mauthner non fu un ateista «prêt-à-penser» come quelli che vanno per la maggiore oggi. Più incline alla complessità che alla semplificazione, si definiva «miscredente devoto».
Contrario alle religioni istituzionali e insieme ammiratore di Meister Eckhart e del Buddha, erede autoproclamato di quella «via negativa» che da Pseudo-Dionigi l’Areopagita arriva, per rivoli ed emersioni, sino alla filosofia del linguaggio professata da Wittgenstein. Il quale, non a caso, conosceva gli scritti di Mauthner, pur senza condividerne altro al di fuori dell’impostazione problematica.
L’influenza, a sua volta discordante, esercitata dal «miscredente devoto» su autori quali Borges e Joyce basterebbe da sola, forse, a giustificare l’iniziativa di Guido Vitiello, lo studioso al quale si deve la bella traduzione e l’eccellente curatela di Mistica senza Dio (Editrice Irradiazioni), un piccolo libro allestito dalla vedova di Mauthner come una sorta di breviario. Il punto di partenza è appunto la «critica del linguaggio», metodica confutazione della terminologia comunemente accettata in sede speculativa, per cui perfino «Dio» sarebbe una parola insufficiente, che nasconde più di quello che intenderebbe rivelare. Chiaro che, con una premessa di questo tipo, la conciliazione con il cristianesimo (sequela del «Logos», fede nel Verbo incarnato) appare impossibile. Il modello di santità perseguito da Mauthner coincide infatti con il nirvana, la beatitudine al di là del linguaggio, come in Mistica senza Dio testimonia il capitolo tratto dal romanzo che l’infaticabile prosatore volle dedicare all’«ultima morte» del Buddha. Ma l’illuminazione può toccare a chiunque, in qualsiasi momento, secondo una dinamica che ricorda da vicino un altro testo capitale della temperie in cui Mauthner visse e operò, e cioè la Lettera di Lord Chandos di Hoffmannsthal. Suggestioni orientali e intuizioni provenienti dalle acquisizioni della fisica, rifiuto delle gerarchie e desiderio spasmodico di ricongiungersi all’Uno: il panorama descritto da Mauthner assomiglia in modo impressionante a quello che sempre più spesso viene proposto dallo spiritualismo nostro contemporaneo. Con la differenza che le pagine di Mistica senza Dio rivelano una profondità e un’urgenza difficili da reperire nell’attuale contesto di eresie senza impegno. Proprio per questo colpisce e induce a riflettere l’epitaffio che Mauthner vergò per la sua tomba: «Liberato dall’essere uomo». Pretesa legittima, per chi diffida del linguaggio. Per chi si affida al Verbo, al contrario, la speranza consiste nel diventare talmente umano da poter essere salvato. E no, questo fra «liberazione» e «salvezza» non è un gioco di parole.
Articolo uscito su Avvenire il 9 settembre 2011 con il titolo Ma Mauthner non va arruolato fra i miscredenti.
Un estratto di Mistica senza Dio si può leggere su Nazione Indiana.
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