L’assolutista democratico (!). La libertà imbullonata alla berlina
Come l’aquila che piomba sulla preda, lo studioso occhiuto e rigoroso deve restringere i propri giri via via che si avvicina a una nozione ambigua come quella di “democrazia”, esposta a tutti gli usi e gli abusi dei potenti. Se non piace la metafora predatoria, si provi con quest’altra: “I ‘padroni del potere’ che sequestrano la parola a loro vantaggio vanno piuttosto imbullonati alla berlina della critica, al significato irrinunciabile del vocabolo, smascherati come democratici falsi e bugiardi”. Metafora che dà nel forcaiolo o nel metalmeccanico, a seconda che s’intenda berlina come (cito lo Zingarelli): 1) Antica pena inflitta a certi condannati esponendoli in luogo pubblico e rendendo noto con bando o per iscritto la loro colpa; oppure 2) Automobile chiusa a due o quattro porte, con quattro o più posti (lectio che sarebbe più coerente con il verbo “imbullonare”). Già che l’ideatore della metafora è Paolo Flores d’Arcais, le due accezioni possono pacificamente coesistere.
Con le parole non si scherza: “La lotta politica per la democrazia e la lotta filologica per il significato della parola sono terreni diversi dello stesso scontro, nel quale la posta in gioco è sempre la nostra eguale dignità”. Lo si legge in Democrazia!, pubblicato dall’editore Add nella collana dei punti esclamativi (Indignatevi!, Liberatevi!, Godete!), che annovera già un altro titolo di Flores, Gesù (qui il punto esclamativo non c’è, ma ci starebbe bene). Che per il direttore di Micromega le parole fossero importanti lo sapevamo da anni, da quando compose con Giampiero Mughini un delizioso dizionario, Il piccolo sinistrese illustrato, che imbullonava alla berlina della critica (e della satira) il vaniloquio dei giovani contestatori e dei marxisti universitari. Qui la voce “Democrazia” non c’era, c’era però “Democraticismo”, e la piccola nota redatta da Flores si chiudeva su una difesa del garantismo. Era il 1977, altri tempi, e pochi anni dopo il nostro avrebbe perfino firmato appelli a sostegno della candidatura a Strasburgo di Enzo Tortora. Oggi Flores indulge al sinistrese più fatuo (elogia, tra i liberali, qualche “cervello fuori libro paga” che si emancipa “dalla servitù volontaria alla dittatura liberista”) ma la passione per le parole e per il loro valore è rimasta intatta. Dunque, cos’è democrazia?
Non si tratta, beninteso, di esporre preferenze contingenti, ma di portare alla luce gli elementi che sono costitutivi del concetto. La fatica filologico-metalmeccanica di Flores ha portato ad apprezzabili risultati di imbullonatura. Prendiamo, a titolo d’esempio, il capitolo “Democrazia e legalità”. Ci è detto subito (primo giro di vite) che siccome il principio “una testa, un voto” è messo a repentaglio dalle mafie, e le mafie trovano collusioni nelle istituzioni, ne deriva che “il ‘concorso esterno in associazione mafiosa’ diventa il crimine fondamentale da perseguire”, e che anzi occorre ampliarne la portata: non lo chiede Flores, lo chiedono tre secoli di illuminismo. Inoltre la democrazia – la democrazia di sempre, quella dei padri nobili imparruccati settecenteschi, mica parliamo di cronachette – esige (secondo giro di vite) “l’assoluta autonomia” della magistratura, e il concetto non sarebbe filosoficamente rigoroso se non incorporasse (terzo giro di vite) l’obbligatorietà dell’azione penale (“Molti ordinamenti, purtroppo, non la prevedono, danneggiando la democrazia”, gli stessi ordinamenti che ci invidiano i milioni di processi pendenti). E i magistrati, come deve reclutarli una democrazia degna del suo concetto? Ma naturalmente per concorso (quarto giro). I successivi avvitamenti riguardano la responsabilità del magistrato che sbaglia, i tempi di prescrizione, l’uso delle intercettazioni, con deduzioni che è facile svolgere dai princìpi enunciati, se si è voltairiani fino in fondo, così come è facile capire che il dovere supremo è sottoporre i potenti al “controllo di legalità”, questo check-up preventivo e permanente sul corpo sociale così caro all’ideologia corporativa delle nostre toghe.
Il gioco del cacciavite si estende, lungo i capitoli, ad altri ambiti: l’informazione e il dibattito politico (la filologia esige qui confronti televisivi “certosinamente regolamentati”), il finanziamento della politica (niente denari privati, pena cadere nella “teocrazia di Mammona”), e una serie di questioni economiche. Apprendiamo così che la tassazione “progressivamente progressiva” e il welfare “cospicuo e capillare” non sono possibili opzioni democratiche, ma le uniche scelte filologicamente corrette, “inerenti al concetto stesso di democrazia, poiché analiticamente deducibili dal suo grado minimo procedurale”. Apprendiamo che la libertà liberale “è perfettamente compatibile con politiche di limitazione anche radicale del diritto di proprietà”, che “la democrazia è in conflitto permanente con il liberismo”, che Marchionne è un nemico della democrazia (è “di evidenza lapalissiana”) e i veri liberali sono “i movimenti che turbano l’inamidata frenesia di Wall Street”. Apprendiamo infine che girotondare è obbligatorio, e che l’intellettuale disimpegnato è un traditore della professione e dei doveri di cittadinanza.
Così, al termine di centocinquanta pagine di lavoro usurante, la democrazia è saldamente imbullonata alla berlina, e finalmente arriva la rivelazione che “ogni governo di destra, forza di destra, presenza di destra, costituisce una limitazione della democrazia nella cornice della democrazia” e che sussiste “l’equivalenza tra democrazia e sinistra”, purché, beninteso, sia una sinistra che si batte per l’autonomia assoluta della magistratura, il concorso esterno e gli altri elementi consustanziali al nobile concetto ereditato dai Greci. Concetto che, se si è davvero illuministi da Encyclopédie e non cervelli sul libro paga del liberismo, si potrebbe a questo punto definire così: “Forma di governo corrispondente alle idee maturate dal prof. Flores d’Arcais nel ventennio 1992-2012”.
Chi l’avrebbe mai detto? Si parte repubblicani, si finisce assolutisti: la democrazia c’est moi. Gesù!
Articolo uscito sul Foglio il 19 maggio 2012
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