Guido Vitiello

Breve storia della libertà

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Dalla mia Introduzione:

Non dico che Raymond Aron fosse un bell’uomo. Tutt’al più, avrebbe detto mia nonna, un signore distinto: elegante, bel portamento, un sorriso affabile, un naso (cito sempre la nonna) “importante”. Ora date un’occhiata al suo eterno amico-nemico Jean-Paul Sartre: a esser larghi di manica, era la versione strabica di Mr. Moto, il detective giapponese impersonato da Peter Lorre nei noir di fine anni Trenta. Malvestito (degli abiti sbagliava perfino la taglia), alquanto ranocchiesco, esoftalmico dietro gli occhialetti tondi, capelli untissimi, denti giallognoli e ritorti, la pelle vizza, pareva sbalzato da una tavola del repertorio fisiognomico di Lavater. Per giunta era basso, così basso che Aron, che tutto era fuorché uno spilungone, poteva permettersi il capriccio di chiamarlo mon petit camarade. Eppure non c’era verso, le donne preferivano Sartre, che dico: non gli davano pace, lo assediavano come una rockstar o un divo del cinema. E il filosofo, dal canto suo, ricambiava circondandosi di ragazze appariscenti, perché la sola vista di una donna brutta – lo confidò proprio lui, l’inarrivabile sgorbio, in un’intervista a Playboy nel 1965 – lo offendeva. Quanto ad Aron, sfortunatamente, la redazione di Playboy non si sognò mai di interpellarlo sul tema. Almeno sotto questo aspetto, non me la sento di obiettare ai giovani contestatori parigini e al loro slogan “Meglio aver torto con Sartre che ragione con Aron”: ne andava della loro educazione sentimentale, per dirla con il massimo dell’understatement. Non me la sento di obiettare, tanto più che questo schema archetipico si riproduce, con piccole varianti, nella vita di ogni liberale imberbe, negli anni della scuola o dell’università (mi rivolgo, di tutta evidenza, ai lettori maschi; le lettrici portino pazienza per qualche riga, e tutt’al più ci commiserino). Non che fiorissero ovunque menti sopraffine come Sartre e Aron, beninteso. Ma lo schema era quello, inflessibile e crudele: ad affascinare le compagne di studi, ricorderete, erano quasi sempre i propugnatori di idee radicalissime e incendiarie, gli occupatori di aule, i comizianti, i bulli ideologici; il tutto, neppure a dirlo, a spese di noi occhialuti raziocinanti e rimuginanti. La verità? Il liberalismo non è sexy.

Breve storia della libertà, David Schmitz e Jason Brennan, IBL libri, 2013, 274 pagine

Written by Guido

gennaio 1, 2013 a 12:22 PM

Pubblicato su I miei libri

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