Così è nata la guerra sul pudore
Il giudice Potter Stewart, già membro della Corte suprema degli Stati Uniti, diede nel 1964 una memorabile definizione della pornografia: «La riconosco quando la vedo». All’epoca la battuta faceva ridere (ma era vera), oggi farebbe ridere e basta. Nulla è meno comune del comune senso del pudore. E non certo per i proverbiali Pirenei di Blaise Pascal, che fanno sì che ciò che è reputato buono e accettabile al di qua sia turpe e vergognoso al di là. Ormai i Pirenei li abbiamo in casa, attraversano in lungo e in largo le nostre società, e sul pudore — su ciò che si possa e si debba mostrare, e come, e perché — regna una babelica confusione delle lingue. Le scaramucce tra le Femen a seno nudo e le tuniche verginali delle Antigones sono forse le prime avvisaglie di una nuova stagione di guerre del pudore, più intricate e indecifrabili di quelle balcaniche.
Anche noi abbiamo avuto le nostre tempeste in un bicchier d’acqua, se non in una tazzina da caffè: l’effimera polemica sulle ragazzine in minishorts e sui centimetri di pelle che è consentito mostrare senza essere considerate provocatrici (una variante del libello secentesco dell’abate Boileau sull’abuso di nudités de gorge, ossia di scollature); e la querelle un po’ tardiva e pretestuosa, innescata dalle parole della presidente della Camera Laura Boldrini, sulla cancellazione della trasmissione Rai diMiss Italia, concorso in cui alcuni vedono una tradizione nazionale da ravvivare e altri, grosso modo, l’equivalente umano di una mostra canina, con la differenza che vi si esibiscono solo esemplari femminili della specie, e che ai cani non è richiesto (grazie al cielo) di voltarsi e mostrare il «lato B». E già che di questo si parla, sappiate che le nostre guerre del pudore furono oscuramente annunciate da un sedere. Nulla di sexy, a dire il vero: era il sedere di un signore francese sulla quarantina, Monsieur La Brige. Continua a leggere su La Lettura
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