Guido Vitiello

Pedalare indietro (La Controra, 9)

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Schermata 2015-07-27 a 15.39.44“C’è qualcosa che evochi l’idea di velocità più di queste due ruote uguali, dai raggi tesi e vibranti come nervi, due gambe senza inizio e senza fine?”. La domanda di Maurice Leblanc in Voici des ailes (1898), romanzo breve sui parigini che sfrecciano in bicicletta per il Bois de Boulogne, sembrò trovare risposta qualche anno più tardi in un capriccio mistico di Apollinaire sul Mercure de France. Le ali che per Leblanc erano ancora ali d’uccello prendevano sulla pagina di Apollinaire natura angelica: Dio si era manifestato al futurista Marinetti sotto forma di bicicletta e gli aveva ispirato una nuova religione dove in luogo di Divinità si diceva Velocità, già che i raggi vorticano sul mozzo “con quella velocità folgorante che era finora appannaggio della schiera di angeli chiamata Ofanim, i quali nell’angelologia ebraica sono le ruote del carro celeste”. Chi abbia in testa queste parole di cent’anni fa o le immagini dei ciclisti dinamici di Boccioni e Depero faticherà a capire come la bicicletta sia potuta diventare, da qualche tempo, un vessillo da brandire contro il culto della dea Velocità.

Le librerie si affollano di inviti a viaggiare con lentezza, di filosofie del ciclismo (o ciclosofie), di zen della bicicletta e di tao della bicicletta, di elogi della scampagnata indolente ed epicurea, di reportage di viaggi senza motore. Nascono associazioni per il Movimento Lento, si convocano Festival della Viandanza che invitano ad accordarsi su ritmi meno frenetici. Le cronache riportano di tanto in tanto raduni in bicicletta di militanti contro l’alta velocità in Val di Susa, e una pubblicistica men che mediocre affronta le declinazioni politiche della lentezza mescolando ingredienti eterogenei – il diritto alla pigrizia di Lafargue e i suoi derivati, i vari indigenismi e socialismi creoli dell’America Latina, le formule-feticcio della decrescita e della sostenibilità, la conversione dei piaceri aristocratici in “bene comune”, il gran bivacco degli anni Settanta, la riscoperta kitsch di un sacro tutto terrestre che si esprime in antichi gesti misurati, sapienti, ieratici, contrapposti al gesticolare ansioso e meccanico dei moderni (il più recente di questi pasticci lo ha cucinato Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, insieme al cileno Luis Sepúlveda, e lo ha servito Guanda con il titolo Un’idea di felicità: molto indigesto).

Il più sono illusioni ottiche, miraggi da specchietto retrovisore. Stephen Kern, indagando la cultura del tempo e dello spazio tra la fine dell’Ottocento e la Prima guerra mondiale (il suo libro, Il tempo e lo spazio, lo tradusse il Mulino nel 1988) osservò che per un uomo che abbia viaggiato vent’anni a cavallo l’introduzione dell’automobile ha un effetto duplice, di accelerazione e rallentamento: “il nuovo viaggio è più rapido e altrettanto la percezione che l’uomo ne ha; ma questa stessa accelerazione trasforma i suoi precedenti mezzi di viaggio in qualcosa che non erano mai stati – lenti, mentre prima erano il modo più rapido di procedere. Improvvisamente, il suo vecchio cavallo è diventato antiquato”. Accelerando il ritmo della vita quotidiana, la tecnologia rallenta artificialmente i ricordi. Così l’avvento dei piroscafi a vapore trasfigurò in pregi le magagne dei velieri, l’automobile gettò una luce nostalgica sui viaggi in carrozza, l’affondamento del Titanic suggerì le prime apologie della lentezza: “La tensione tra una realtà che si affrettava e un passato più lento dava origine ad elegie sentimentali sui bei tempi prima della corsa precipitosa”.

Un giorno rimpiangeremo le nostre automobili sonnecchianti sulle autostrade, il passo calmo e sicuro dei treni ad alta velocità, o quegli aerei panciuti che sembravano arrancare tra le nuvole e impiegavano una dozzina di ore per portarci dall’Europa all’America. Sono meccanismi mentali banalotti, per i quali giova l’avvertimento degli specchietti retrovisori: “Objects in mirror are closer than they appear”. Meno banale è la questione della velocità e della religione, e della religione della velocità. “Dov’è finito il tempo, caro Marinetti, quando mi annunciavate la pubblicazione di un altro manifesto futurista intitolato l’Irreligione futurista, che non avete fatto mai uscire?”, domandava ancora Apollinaire; e concludeva che l’esaltazione della velocità era l’atto di fondazione di una nuova religione, ma che non si trattava di “un’eresia più o meno cristiana”.

Era davvero così? Per rispondere dovremmo prendere una via più lunga, e fermarci a visitare un filosofo tedesco ossessionato dal tempo, uno storico della chiesa protestante pieno di grilli esoterici, un vecchio situazionista belga che si diletta di eresie. Alla fine della scampagnata potremmo stabilire quanto corra la freccia del tempo, e se qualcuno stia cercando per caso di far girare i falsi circuli del paganesimo sui raggi di una bicicletta. Ma è materia per la prossima controra: oggi ci si riposa.

3 settembre 2014

Written by Guido

agosto 16, 2015 a 9:00 am

Pubblicato su Controra, Il Foglio

3 Risposte

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  1. Guido, scrivi sempre le solite note. Alla fine il pentagramma per solfeggiare s’è ingiallito, come la tua prosa.

    q.

    agosto 20, 2015 at 9:52 PM

    • E questo è un articolo di un anno fa, su temi su cui non avevo mai scritto: pensa quanto devo essere ingiallito nel frattempo

      unpopperuno

      agosto 20, 2015 at 10:40 PM

  2. Se non li conosci, sulla bicicletta e il mito della velocità ci sono anche questi fantastici scritti di Jarry, noto ciclofilo e spudorato ladro di biciclette! http://www.ibs.it/code/9788833920610/jarry-alfred/acrobazie-bici.html

    Happolati

    agosto 21, 2015 at 4:38 PM


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