Festina lente (La Controra, 10)
“E gli anni si accorceranno come mesi e i mesi come settimane e le settimane come giorni e i giorni come ore”. A questo vaticinio della Sibilla Tiburtina, che così descriveva l’affrettarsi del tempo nell’imminenza della fine del mondo, il filosofo Reinhart Koselleck (Accelerazione e secolarizzazione, Istituto Suor Orsola Benincasa, 1993) volle affiancare le parole con cui l’industriale Werner von Siemens illustrò nel 1886 la sua legge dell’accelerazione costante della civiltà: “Periodi di sviluppo che in tempi passati hanno avuto luogo nel corso dei secoli, e che all’inizio della nostra epoca hanno richiesto ancora dei decenni, si compiono oggi in anni”. Variano i toni ed i presagi – qui trionfale, là sciaguroso – ma soprattutto varia la natura di questo precipitarsi. Nella profezia della Sibilla, come in tutta la tradizione apocalittica, è il tempo stesso ad accorciarsi per intervento soprannaturale; al contrario, l’accelerazione salutata dall’ingegnere elettrico tra lo sventolar di fazzoletti a bordo pista riguardava il succedersi delle invenzioni scientifiche, la corsa irrefrenabile del progresso umano in un tempo che, di per sé, manteneva il suo passo costante. Che tra le due forme di accelerazione, l’apocalittica e la positivistica, vi sia malgrado tutto un tratto comune? È un buon punto di partenza per rispondere alla domanda lasciata in sospeso la scorsa settimana, e cioè se Apollinaire avesse torto o ragione nel dire che l’adorazione della velocità professata da Marinetti e dai futuristi era sì una religione, ma non un’eresia cristiana.
Avevo promesso una scampagnata in bicicletta con tre tappe, e così sia: dopo Koselleck visitiamo Ernst Benz, teologo luterano e storico della chiesa dai molti e divaganti interessi (ha scritto sull’occultismo nella filosofia romantica, sul mito dell’uomo primordiale, sugli stati mistici indotti dalle droghe, perfino sulla “teologia dell’elettricità” – è il suo solo libro tradotto in italiano, pubblicato da Medusa). Benz si dedicò al problema dell’accorciamento del tempo in Akzeleration der Zeit als geschichtliches und heilsgeschichtliches Problem (Akademie der Wissenschaften und der Literatur, 1977). L’accelerazione come fenomeno storico, a suo dire, entra nel mondo grazie al Cristianesimo, e con esso si propaga ovunque; ma se la Chiesa aveva approntato i suoi mezzi ortodossi per anticipare o pregustare la venuta del Regno – Benz li elenca: la preghiera, la visione mistica, l’ascesi, l’intercessione dei martiri – alcune sette eretiche piuttosto impazienti, specie dopo la Riforma, ne aggiungeranno un altro meno ortodosso: la violenza. Dalla riforma religiosa alla rivoluzione politica, dall’attesa del Paradiso alla fretta di edificarlo in Terra con le buone o con le cattive, il passo non è poi così lungo.
Che si osservi l’accelerazione dal lato del progresso scientifico o da quello dell’avanguardia rivoluzionaria, sembra che Apollinaire avesse torto sul futurismo, che si presentava appunto come un’avanguardia rivoluzionaria di entusiasti del progresso scientifico. Se nel culto della velocità c’era dunque una quasi impercettibile eco cristiana, dovremmo concluderne – sempre che ci sia da concludere – che la nuova religione della lentezza, del tempo terrestre goduto in pace, è una reminiscenza pagana? Il primo istinto è rispondere di sì. Ma per farsi venire qualche dubbio pedaliamo verso l’ultima tappa. Il belga Raoul Vaneigem, il principale teorico del situazionismo accanto a Guy Debord (ma ben più interessante di quest’ultimo, scolastico e puerile) ha offerto un’elegante apologia della lentezza nel breve Éloge de la paresse affinée, scritto nel 1996. La pigrizia affinata, coltivata come arte, ci libera dalla maledizione biblica del lavoro senza esserne né la controparte né la ricompensa, al contrario: per sua natura è disgiunta da ogni sforzo. Il paradiso è là accanto, per chi voglia allungare la mano. La perorazione di Vaneigem si nutriva di fantasticherie più o meno mitologiche – il paese di Cuccagna, la quiete della vita uterina, il matriarcato, i popoli senza storia – e fatalmente s’imbatteva in qualche eresia cristiana (varrà la pena ricordare che proprio a Vaneigem le Presses Universitaires de France affidarono il volumetto sulle eresie nella storica collana “Que sais-je?”). Ed è giusto che sia così. Perché a pensarci bene, l’idolatria della lentezza fa pensare, più che a un revival del paganesimo, all’eterno ricorrere di una posizione eretica che si affacciò nei primi secoli e si riaffacciò dopo la Riforma (le posizioni eretiche, ha detto qualcuno, sono come le posizioni erotiche: poche e ripetitive), ossia la dottrina di quanti proclamavano già abolita la Legge, e dunque già accessibile la pienezza. Ovviamente sono tutti morti.
L’Eden degli oziosi è un festino in tempo di peste; e la lentezza è una fata morgana, l’illusione ottica di una piazzola di sosta, mentre le settimane e i giorni e le ore sfrecciano sulla corsia di sorpasso infischiandosene delle nostre fantasticherie.
10 settembre 2014
ne “La Gnosi e il tempo” Puech sostiene che mentre il tempo dei pagani era tendenzialmente circolare (e spesso un fatto successivo era un decadimento rispetto a quello anteriore), il tempo dei cristiani è lineare e progressivo (non solo inizia e finisce, ma procede verso una maggiore perfezione), mentre quello degli gnostici è una linea spezzata, perchè l’evento culminante di fatto è già accaduto (prima e fuori dal tempo, per certe sette). Se ne trova un’eco in Valis, di P.K. Dick, il cui protagonista immagina che il tempo sia fermo al primo secolo dopo cristo e che tutto il resto sia una pura illusione del demiurgo (se il tempo riprendesse a scorrere, infatti, si arriverebbe subito alla fine proclamata dagli apostoli, che si aspettavano il giudizio nel corso della loro vita).
eliaspallanzani
agosto 23, 2015 at 2:07 PM