Guido Vitiello

L’antilingua giudiziaria e il disturbo passivo-aggressivo

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1365422448-0I manuali di scrittura si somigliano un po’ tutti. Invitano alla semplicità, alla concisione, alla chiarezza, all’eleganza; sono imbottiti di epigrafi e citazioni da autori più o meno illustri; ammiccano di continuo al lettore con quel caro, affabile, professorale spirito di patata che risveglia anche nel più mite l’ombra vendicatrice di Franti; citano compulsivamente Italo Calvino – la maledetta leggerezza di Italo Calvino. Per fortuna citano anche quel magnifico articolo del 1965 sull’“antilingua”, ossia “l’italiano di chi non sa dire ‘ho fatto’ ma deve dire ‘ho effettuato’”, la lingua sepolcrale e dilatoria delle burocrazie, piena di circonlocuzioni e di termini astratti e di subordinate che si annodano in serpentoni sintattici indistricabili. La peste dell’antilingua ha molti focolai, e ogni manuale pesca i suoi esempi nel lazzaretto più familiare all’autore: nei comunicati aziendali, nelle circolari ministeriali, nella prosa accademica. Davanti al breviario di scrittura di un magistrato, capirete bene, mi si sono subito drizzate le antenne. Con parole precise (Laterza) di Gianrico Carofiglio somiglia a molti altri manuali, ma prende il grosso dei suoi esempi da sentenze, verbali d’interrogatorio, trascrizioni di intercettazioni. Ebbene, com’è fatta l’antilingua giudiziaria? L’aspetto esteriore non è così originale – come i manuali di scrittura, i dialetti dell’antilingua si somigliano un po’ tutti – ma sulla sua ragione profonda Carofiglio ha un’idea formidabile.

La caratteristica principale dell’antilingua, scriveva Calvino, è il “terrore semantico”, la fuga davanti a ogni vocabolo immediatamente comprensibile; e la sua radice psicologica è la mancanza di un vero rapporto con la vita. Si fugge dalle parole semplici per fuggire a sé stessi, perché si è tristi o disgustati. Diagnosi molto penetrante, ma siamo sicuri di poterla applicare al magistrato che scrive (cito uno degli esempi di Carofiglio) “va pertanto accertato se siano stati adempiuti da parte della banca gli obblighi di comportamento gravanti sulla medesima”? L’autore fa un’altra congettura: “La predilezione del linguaggio giuridico e burocratico per i verbi in forma passiva fa pensare a quella che gli psicologi chiamano la personalità passivo-aggressiva. Un atteggiamento che dietro una apparente remissività nasconde pulsioni arroganti, minacciose e di sfida”. Nella forma passiva, aggiunge, “ogni opinione è attribuita a una entità impersonale (deve ritenersi, non può non considerarsi)”.

Carofiglio la lascia cadere nel vuoto, quasi sbadatamente, ma è un’idea che vale un libro intero. Titolo provvisorio: La magistratura italiana e il disturbo passivo-aggressivo. Un’analisi psicolinguistica. Temi del libro: il ricorso a forme impersonali come sintomo nevrotico in cui si rispecchia il conflitto tra le “pulsioni arroganti” del magistrato e l’“entità impersonale” dell’obbligatorietà dell’azione penale; l’oggettiva “cattiva fede” in cui è costretto a vivere il pm che si dibatte tra l’esercizio di un amplissimo potere personale e la finzione anonima dell’“atto dovuto”; la psicopatologia delle carriere unite. Citazioni, esempi? Per il momento ne ho solo uno, un rapporto di polizia giudiziaria del 1983 che suona decisamente passivo-aggressivo: “Si vuole che sia dedito allo spaccio delle sostanze stupefacenti nell’ambiente artistico da lui frequentato”. Il lui in questione era Enzo Tortora.

Articolo uscito sul Foglio il 10 ottobre 2015 con il titolo La magistratura italiana e quel disturbo passivo-aggressivo

Written by Guido

ottobre 11, 2015 a 11:11 am

12 Risposte

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  1. ci sembra una considerazione molto debole. E’ ragionevole esprimesi in forma impersonale (tra l’altro) quando non si riferisce un’opinione ma una conclusione che deriva da certe circostanze in base a un ragionamento verificabile. La frase citata, che poteva ridursi a “bisogna verificare se la banca ha fatto quel che doveva”, non esprime né un’opinione né un convincimento ed è semmai superflua (oltre che goffa). La frase riferita a tortora non è di un magistrato ma della polizia, che riporta (come sempre accade) anche voci e informazioni di relativa attendibilità, che non fanno prova. Indubbiamente la burocrazia usa una sua pseudo-lingua che dietro l’apparente precisione dei termini e dei concetti nasconde di solito la fumosità e l’incertezza, più che l’arroganza.

    eliaspallanzani

    ottobre 11, 2015 at 2:20 PM

    • Su quel “si vuole” del caso Tortora c’è tutta una letteratura, in verità, e l’espressione tornò in fasi successive del processo per bocca di un magistrato. Ad ogni modo, la forma impersonale è spesso usata per camuffare arbitriii personalissimi (io ho pescato un esempio citato da Carofiglio solo per poter poi riportare il suo commento). In altri termini: a esser debole non è la considerazione, semmai sono gli esempi.

      unpopperuno

      ottobre 11, 2015 at 3:39 PM

      • capiamo e in buona parte condividiamo il tuo orrore per certi comportamenti della magistratura quella nonlingua non è una caratteristica della magistratura bensì di tutta la burocrazia e talvolta anche del giornalismo, per cui se davvero fosse manifestazione di tendenze passivo-aggressive bisognerebbe dedurne che in questo caso la magistratura non fa altro che adeguarsi al passivo-aggressivismo nazionale. Per tacere poi del fatto che a nostra modesta opinione Carofiglio è scrittore mediocrissimo e quindi scarsamente titolato a dare consigli di stile.

        eliaspallanzani

        ottobre 11, 2015 at 6:37 PM

  2. Di Carofiglio non mi interessava che quella frase, infatti; ma non sono d’accordo con il vostro sillogismo. Una veste linguistica esteriormente simile può nascondere pulsioni diverse o perfino opposte. “Turbata libertà degli incanti”, scrisse da qualche parte Umberto Eco, si riferisce alla disciplina della turbativa d’asta ma potrebbe altrettanto bene essere un verso rondista su un’adolescenza spezzata da qualche incontro prematuro. In questo caso, dico semplicemente che l’antilingua può essere usata *anche* in modo passivo-aggressivo; e che il conflitto tra possibilità di un arbitrio pressoché illimitato e finzione/alibi dell’obbligatorietà in cui si trova – lo voglia o meno – il magistrato italiano si adatta molto bene a questo uso. Non voglio dar l’aria di chi si ostina a tenere il punto, già che la mia più che una tesi è una suggestione; ma su Facebook (dove, immagino, non mi seguite) qualche amico avvocato sta cominciando ad arricchire il repertorio di citazioni!

    unpopperuno

    ottobre 11, 2015 at 6:51 PM

    • (Prima che mi bacchettiate: quello di Eco è un esempio di polisemia, lo so, c’entra poco, ma mi è tornato in mente e mi andava di citarlo)

      unpopperuno

      ottobre 11, 2015 at 6:53 PM

    • purtroppo la Fondazione annovera degli avvocati e quindi è fin troppo a giorno dell’orrenda lingua dei tribunali (luoghi orrendi già di per sè).

      eliaspallanzani

      ottobre 11, 2015 at 7:36 PM

  3. non fosse che gli avvocati scrivono nello stesso modo

    david

    ottobre 12, 2015 at 11:32 am

    • Vero, verissimo. Tutte le burocrazie scrivono allo stesso modo. Ma la sfumatura colta da G.C. secondo me merita di essere indagata (cosa che – ribadisco – non ho fatto, ho auspicato).

      unpopperuno

      ottobre 12, 2015 at 11:47 am

  4. La ha auspicata circoscrivendola alle Sue conclamate nevrosi, cfr. ultimo capoverso, parte motiva (se Lei fosse stato il protagonista di Inside out le avrebbero messo testa i personaggi del PM e dell’obbligatorietà dell’azione penale, col povero Tortora a fare Bing Bong ).

    david

    ottobre 12, 2015 at 12:10 PM

    • Il guaio è che se lei fosse un personaggio di Inside Out nella sua testa ci sarei io, e mi pare più preoccupante! :-)

      unpopperuno

      ottobre 12, 2015 at 2:18 PM

  5. “Un atteggiamento che dietro una apparente remissività nasconde pulsioni arroganti, minacciose e di sfida”

    Questo meccanismo è in realtà consustanziale a qualsiasi argomentazione sviluppata in termini giuridici.
    L’oggetto della richiesta o della decisione va ammantato di impersonalità per divenire legittimo.
    Da tale necessita derivano gli “E’ evidente che…”, i “Non vi è chi non veda” etc.
    Il linguaggio del giudice, lungi dal limitarsi a un dispositivo performativo (arrogante e minaccioso), deve per forza di cose individuare degli argomenti logici a suo sostegno, da cui l’apparente remissività.
    Possiamo anzi individuare una delle funzioni del diritto moderno, e delle sue varie estrinsecazioni, nell’esigenza di conciliare queste due polarità.

    g. kampf

    ottobre 22, 2015 at 7:02 PM


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