Guido Vitiello

Comunello e Fasciolino. Il teatro dei burattini ideologici

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pinocchio-fascista

Sulla crisi del ’29 ancora ci si arrovella, la grande recessione del 2007 dividerà gli economisti per i prossimi cento anni, ma ai futuri storiografi che vorranno occuparsi dei miei disastri finanziari posso suggerire fin d’ora una data e una causa certa: 3 novembre 2001, giorno della mia iscrizione su eBay. Tra i cimeli che mi hanno spinto a dissipare allegramente i miei risparmi c’è un numero di Topolino del 1942, l’anno in cui il MinCulPop volle sostituire il personaggio di Walt Disney con il bambino Tuffolino, lui pure in braghette rosse e scarpe gialle. Nel nuovo fumetto autarchico e antiamericano Minnie diventava una bimba di nome Mimma, Pippo un amico nasone in gilet, la mucca Clarabella era ribattezzata Claretta (quest’ultima pensata ebbe vita breve, però: e credo sia superfluo spiegare il perché). È probabile che gli storici del mio crac finanziario dovranno segnarsi anche un nome, Stefano Pivato, e il titolo di un libro, Favole e politica. Pinocchio, Cappuccetto rosso e la Guerra fredda (il Mulino). Per colpa sua ho scoperto meraviglie come questa strofa di un fumetto socialista degli anni Venti: “Forte e ardito è Comunello / ed affronta il manganello / del gradasso Fasciolino / per difender Proletino”. Seguiranno, ineluttabili, nuove ricerche notturne su eBay, accessi di lussuria collezionistica, calde settimane di febbre scialacquona, fino al giorno in cui busseranno alla mia porta due omaccioni in gessato e occhiali scuri mandati dalla MasterCard a spezzarmi i pollici.

Eppure, come fare a meno delle Avventure e spedizioni punitive di Pinocchio fascista, che va a rieducare i burattini comunisti con due fiaschi di olio di ricino? E come non precipitarsi alla ricerca di Chiodino, il Pinocchio marxista degli anni Cinquanta fatto tutto di ferraglia, e specie di Chiodino interplanetario, che se ne andava per le galassie a visitare pianeti governati secondo i principi del socialismo, e che un giorno s’imbatteva pure nella cagnetta Laika? E il Pinocchio saragattiano, allora, che doveva vedersela con Stalin-Mangiafuoco e con il gatto Nenni e la volpe Togliatti? E quello democristiano, portato dalla volpe Palmira nel campo Kolkhoz dei miracoli quinquennali? Il repertorio raccolto da Pivato è tanto ricco quanto io sarò povero dopo aver setacciato gli scaffali degli antiquari. Ma chi vorrà far carriera accademica studiando il mio tracollo finanziario del dicembre 2015 dovrà tentare di spiegare anche il perché di questa infatuazione per l’uso politico delle favole. Non è, badate, la comune passione per le miniature, quella che spinge a circondarsi di versioni graziose e addomesticate di cose che, a grandezza naturale, possono far paura (treni, belve feroci, in questo caso ideologie mortifere). Se così fosse, darei indirettamente ragione alla condiscendenza dei tanti burocrati che s’illudevano, traducendo le dottrine di partito nel linguaggio delle favole, di semplificare visioni del mondo complesse o perfino scientifiche a beneficio di menti impreparate ad accoglierle, che credevano insomma di calare qualcosa di grande e di serio in vesti infantili. È vero l’inverso. Per quanto i propagandisti si ingegnassero a sconciarle per i loro fini, erano le favole a far risaltare la sconcertante puerilità delle grandi ideologie, rivelandole per quel che erano: favole degradate e incattivite, boriose e senza mistero. Era Pinocchio a guardare dall’alto queste affabulazioni, non il contrario. E un poco guarda dall’alto anche me, che vado a vendere l’abbecedario per cercare, su eBay, il teatro dei burattini ideologici, Comunello e Fasciolino.

Articolo uscito sul Foglio il 16 dicembre 2015 con il titolo Topolino, Pinocchio e la sconcertante puerilità delle grandi ideologie

Written by Guido

dicembre 18, 2015 a 10:12 am

Pubblicato su Il Foglio, Libri, Politica

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