Corderos e Priapo. Come mi hanno rovinato Gadda
Gli storici della letteratura delle generazioni a venire dovranno constatare con qualche imbarazzo che venticinque anni di antiberlusconismo e almeno cinque del suo sciatto spin-off, l’antirenzismo, non hanno prodotto se non cattiva prosa, retorica civile di quart’ordine, satira bolsa, parodie fallite. Ma la bruttezza del presente ha valore retroattivo, diceva Kraus; e se è ingiusto che le colpe dei padri ricadano sui figli, ancor più ingiusto è che le colpe dei figli ricadano sui padri. Eppure, dopo aver attraversato per un quarto di secolo una palude di corsivi e corsivetti, goliardie e punzecchiature, mi guardo alle spalle e devo rassegnarmi a un fatto spiacevole: non riesco più a leggere e ad amare Eros e Priapo di Gadda, uno dei grandi modelli – a volte rivendicato, altre volte assorbito dall’ignaro autore per mediazioni via via più imbastardite – della maniera antiberlusconiana prima e antirenziana poi.
Il cammino retrogrado è impossibile. Dovrei prima di tutto scacciar via, come sciami di insetti molesti, i mille nomignoli scemi – da Al Tappone al Cainano – che hanno ronzato per anni in tutto l’acquitrino linguistico che si estende dalle relative altezze di MicroMega alle assolute bassezze dell’innominabile blog. Dovrei togliermi dalla testa l’eco di certe sbrodolate di Merlo (quand’è in cattiva forma) o di certe stilettate di Serra (quand’è in cattiva coscienza), come dei loro scimmiottatori senza lustro nella nursery del Fatto Quotidiano. Dovrei dimenticarmi il terribile revival di scrittori priapei ai tempi del bunga-bunga. Soprattutto, dovrei cancellare dalla memoria la legnosa malagrazia della prosa di Franco Cordero, il più abile e fedele imitatore della satira antimussoliniana di Eros e Priapo – solo che dove Gadda aveva Faba Optima Maxima Unica lui ha Silvius Magnus Fraudolentus, e al posto del Generale Cassiodoro Dell’Oca Beverona ha un meno immaginoso Re Lanterna.
Eppure, bonificata la palude e rifatto il cammino a ritroso, tornerei ad amare Eros e Priapo? Il critico Matteo Marchesini mi dice di no, lui che aveva osservato in sé, con anni di anticipo, i sintomi della stessa nausea che ora mi ha preso allo stomaco: “Concedendoci un giochetto un po’ frivolo”, scriveva nel 2011, “potremmo immaginare che se Gadda avesse potuto assistere alla metamorfosi in premier d’uno di quei Berlusconi che allinea tra le tribù meneghine (coi Caviggioni, i Bernasconi, i Trabattoni…), probabilmente non avrebbe saputo dirci sul tema altro che le stesse ovvietà che ci ripetono tanti intellettuali di lui infinitamente meno dotati. Con l’altrettanto ovvia differenza, tuttavia, che il suo Berlusconi sarebbe uscito da una scientifica e fastosa raffinazione gergale delle analisi da gazzetta”.
Le strabilianti invenzioni stilistiche di Gadda occultavano, come decorazioni natalizie affastellate su un albero spoglio, la cifra compositiva della sua satira: che era, per dirla in una formula senz’altro ingenerosa, risentimento agghindato. In mano a stilisti di minor talento, i rami nudi e il tronco rinseccolito si notano invece a colpo d’occhio. E se gli storici della letteratura avranno da perimetrare un grande vuoto, i sociologi della cultura potranno attingere a una documentazione preziosa per tentare di spiegarsi come mai questa maniera lumpen-gaddiana – fatta di indignazioni puerili e di lazzi studenteschi, di sarcasmi sovreccitati e di rinuncia cocciuta all’analisi, di pseudoerudizione e di strizzate d’occhio a una comunità di lettori in ansia di legittimazione culturale – sia stata abbracciata con tanto rabbioso entusiasmo da quella figura di risentito quintessenziale che è l’intellettuale déclassé. Una delle figure politicamente meno rassicuranti di cui si abbia conoscenza – da temere anche se porta in dono satire antifasciste.
27 maggio 2017
Mah, caro Guido, mi sembra che te la tiri un po’. Gadda comunque non è rovinabile, è scolpito sulla pietra.
Cordialmente,
Andrea Breda
Andrea Breda
dicembre 6, 2017 at 10:49 PM