Il vestito del gobbo e la camicia di forza
Dopo il venerdì nero venne il sabato al verde, e anche chi aveva fatto delle mani bucate il proprio stemma nobiliare dovette inchinarsi, riluttante, alle insegne logore dell’anticonsumismo, che sono pastrani rivoltati, giacche con le toppe, calze rammendate sventolanti sul pennone. Ma grazie al cielo non ho altro lavoro da dare ai magazzinieri di Amazon, perché ho scoperto che nelle seconde file della mia biblioteca – corrispettivo libresco del cassetto della nonna pieno di vecchi bottoni – c’è già tutto il necessario. Razza di idiota che sono, anni a sperperare fortune in libri e libelli più o meno fatui sul nuovo populismo per poi scoprire che ne bastava uno solo, stampato da Feltrinelli nel lontano maggio del 1989, quando Luigino aveva appena cominciato a imparare l’italiano – la fatica di tutta una vita. Andiamo, editori, un po’ di decrescita felice! Avete qui, a chilometro zero, senza bisogno di importarlo dalle operosissime officine ideologiche francesi, il libro che ne rende superflui altri cento: Populismo e trasformismo. Saggio sulle ideologie politiche italiane di Carlo Tullio-Altan. Sulla vetrina di Amazon la copertina sbiadita, con accanto la scritta “Non disponibile”, pare una cenerentola tra le sorellastre più sgargianti che hanno loro pure la parola populismo appuntata in petto.
I politici con qualche costrutto e qualche senso residuo della propria funzione storica ne facciano il proprio livre de chevet al posto di Machiavelli e di Le Bon, che portano male, o dei romanzetti stagionali che infilano nelle loro liste di preferiti quando glielo chiede un rotocalco. Tullio-Altan (sì, è il padre) lo presentava al lettore come una “rassegna dei cascami ideologici delle diverse concezioni politiche, che si sono depositati nell’immaginario collettivo come ‘filosofia dei non filosofi’”, secondo la formula di Gramsci; ma questi cascami possono essere fatali quando un sistema è sul punto di crollare. Con la regolarità di un fenomeno astronomico, “quando più sarebbe stato necessario operare con lucida intelligenza e calma freddezza, da parte della classe dirigente, è accaduto che, in conseguenza di vere e proprie manifestazioni deliranti di aggressione ideologica, si cedesse alle iniziative di ristretti gruppi elitari, che in tali congiunture fecero prevalere le soluzioni peggiori”. Vedete bene che la favola parla di noi, dei nostri ceti dirigenti allo sbando, pronti già a puntare sul peggio.
Chino su quella zona in penombra dove germinano le mentalità profonde e i miti fondanti, Tullio-Altan osservava le metamorfosi delle due grandi varietà del populismo, la giacobina e la sanfedista, e delle loro “equivoche collusioni e ibridazioni”, da cui sono nati i mostri odierni. L’unica continuità che gli pareva di osservare nella storia post-unitaria è l’alternanza piuttosto monotona tra fasi trasformistiche e fasi autoritario-giacobine, tra il “vestito del gobbo” (metafora giolittiana per una prassi politica a misura di un paese malformato) e la “camicia di forza”. Nella fitta cronaca di Tullio-Altan, come in un grande romanzo ottocentesco in cui i personaggi scompaiono solo per ricomparire qualche centinaio di pagine dopo, il lettore s’imbatterà nei perfetti alter ego – direbbe a sproposito qualcuno – di tutte le maschere che occupano oggi la scena italiana, di tutti gli eroi e i figuranti che vi gesticolano persuasi della loro novità storica. Il penultimo paragrafo, “È possibile un nuovo fascismo?”, torna specialmente utile ora che le sartine della rete tessono notte e giorno una strana camicia di cui non s’intuisce la forma, ma che s’immagina scomoda. E Tullio-Altan dava anche qualche consiglio ai politici su cosa fare davanti al prossimo ricorso. Ma il mio spazio è finito, e presto anche il sabato al verde lo sarà: vi tocca metter mano al portafogli.
Il Foglio, 25 novembre 2017
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