La trance ipnotica del fesso
Avete mai fatto caso all’aspetto di un uomo ipnotizzato da una solenne fesseria? È molto diverso dall’ipnotizzato comune, che si fa riconoscere all’impronta per le pupille dilatate, la mimica inerte, la mandibola cascante, la loquela rallentata e quasi impedita. Al contrario, l’uomo imbambolato dal pendolo ipnotico di una fesseria di solito parla moltissimo, saetta gli occhi, smania, si fa rubizzo, e ripete quella sua grandiosa balordaggine con il fervore di chi abbia trovato un mantra prezioso. Più si accalora, più possiamo star certi che è caduto nella trance ipnotica del fesso. Nessuno può dirsi al sicuro, specie dopo il 4 marzo, quando hanno preso a circolare cretinaggini dal potente incanto mesmerico. Ogni giorno vedo amici intelligentissimi capitolare davanti a due solenni scemenze, figlie di una premessa maggiore anch’essa scema. Ecco il mio schiocco di dita per risvegliarli.
La premessa demenziale è che i non politici debbano ragionare e argomentare usando le stesse cautele diplomatiche dei politici. Ne discendono le due fesserie gemelle, fatte roteare devotamente dalla mattina alla sera come mulini di preghiera tibetani. La prima dice così: “Non si può dar la colpa ai votanti, l’elettore ha sempre ragione”. Che un politico abbracci questo precetto da scuola alberghiera si può capire: ha ogni interesse a blandire e lusingare l’elettore-cliente perché torni a cenare nel suo ristorante anziché nella trattoria del dirimpettaio. Ma anche il cameriere più cerimonioso sa in cuor suo che è vero il contrario: il cliente ha quasi sempre torto, è solitamente un piantagrane, avanza pretese sconsiderate e petulanti, a volte non sa neppure leggere il menu o immagina che nelle cucine facciano porcherie per intossicarlo. Il cameriere ben addestrato non lo dirà mai, se è impeccabile non farà neppure trasparire che lo pensa; anzi, come in quello sketch dei Monty Python, potrà arrivare a suicidarsi ritualmente con una forchetta sotto gli occhi dei clienti per esprimere la sua mortificazione. Ma per quale ragione al mondo chi non ha un ristorante o non aspira a esser votato dovrebbe trattenersi dal dire una verità così palese, ossia che gli elettori a volte fanno scelte balorde? Sveglia, amico ipnotizzato: puoi dirlo!
La seconda sciocchezza, più sottile e insidiosa, suona all’incirca così: “È sbagliato demonizzare gli avversari, o vinceranno per i prossimi vent’anni”. Argomento debole – le ultime elezioni le hanno vinte dei demonizzatori incalliti – ma non del tutto falso, perché a volte la demonizzazione non funziona neppure contro Satana in persona, e non fa che renderlo più fascinoso. Fossi un cortigiano machiavellico, un consigliere del principe, non gli raccomanderei mai di demonizzare il rivale. E però, guai a confondere la scelta di una strategia retorica con l’osservazione della realtà politica; nella quale i diavoli esistono, o più laicamente esistono i nemici della democrazia. La ruota devozionale delle sciocchezze incantatorie gira, e vorticando ci ripete che quell’errore fu già fatto con Berlusconi, che a furia di chiamarlo populista, peronista, fascista e via maldicendo tutto quel che ottennero fu di accrescere la sua popolarità e di sfiancare gli animi, assuefatti all’iperbole quotidiana, al procurato allarme, all’attenti al lupo senza lupi in vista. Ma il nuovo errore sta nel postulare per partito preso – diciamo pure nell’allucinare – un’equivalenza tra la minaccia berlusconiana che fu e la minaccia del clan dei casaleggesi che incombe. Ora il lupo c’è, si aggira per le strade cercando chi divorare, si è già mangiato un terzo dell’elettorato. Siamo in clear and present danger: quand’altro dovremmo scampanare ad allarme? È già tardi. Certo, è bene ingegnarsi a farlo in modi che non suonino lamentosi come le nenie antiberlusconiane; ma non c’è motivo per cui, per riscattare la colpa di aver gridato per un quarto di secolo a lupi immaginari, la volta che ci troviamo davanti il lupo vero dobbiamo vezzeggiarlo come un barboncino. Sveglia, amico ipnotizzato! Ora conterò fino a tre, e quando schioccherò le dita tornerai alla ragione.
Il Foglio, 14 aprile 2018
Rispondi