Lettera a un abitante di Sirio sulla giustizia italiana
Caro filosofo che vivi su Sirio,
In uno dei pianeti che girano intorno alla stella chiamata Sole capita di leggere, come fosse la cosa più normale del mondo, parole come queste: “Una delle differenze principali in materia di giornalismo giudiziario tra l’Italia e altri paesi occidentali è la capacità della magistratura italiana rispetto a quelle estere di produrre notizie, scoop, fatti di interesse pubblico. Lo dico senza tema di smentite: non esiste una magistratura così potente e così capace di produrre notizie come quella italiana”. A parlare così è un cronista giudiziario terrestre, Marco Lillo, sull’ultimo numero di una rivista il cui nome, caro filosofo di Sirio, dovrà per forza suonarti familiare: MicroMega.
Lillo dice che è una cosa buona, questa capacità dei pubblici ministeri di produrre scoop, è segno della loro autonomia; anche se, aggiunge, “noi giornalisti di giudiziaria soffriamo un po’ la ‘concorrenza sleale’ della magistratura, che ha strumenti più potenti per l’accertamento della verità”. Pensa, caro filosofo che mediti su una stella lontana, che questa idea balorda delle procure come agenzie di stampa o squadre di reporter era stata sostenuta, in una variante perfino più ambiziosa, anche da un magistrato del pianeta Terra, il procuratore aggiunto Vittorio Teresi, secondo il quale “un’inchiesta giudiziaria consente di rischiarare la storia politica con mezzi coercitivi di cui gli storici non dispongono”. E ti dico pure che il giornale del terrestre 1 e la procura del terrestre 2 tentano da anni di riscrivere, con mezzi di cui gli storici non dispongono, la storia del paese dove vivo e la genesi di quella che chiamiamo Seconda Repubblica. Lo fanno tramite la grandiosa epopea della Trattativa, che uno dei nostri romanzieri più attenti alle faccende intergalattiche, Isaac Asimov, avrebbe potuto accludere al “Ciclo della Fondazione”, anche se da letterato avrebbe sofferto per le mille falle e forzature dell’intreccio. Ma queste cose probabilmente già le sai, perché il direttore dell’“organo ufficioso della procura di Palermo”, AntimafiaDuemila, è un ufologo medianico-giudiziario che assicura di essere entrato in contatto con voi.
Se scrivo a te, sapiente di Sirio, è perché le aberrazioni che ti ho descritto sono così quotidiane, così ordinarie, così imperanti che denunciarle, quaggiù, è diventato ormai un vezzo, o al più una ginnastica di sopravvivenza. La nuova razza di rettiliani in borghese che spadroneggia nel mio paese non solo ha smesso da un pezzo di rispondere a queste denunce, non solo non perde tempo ad ascoltarle, ma di anno in anno va smarrendo anche la capacità elementare di intenderle. Siamo rimasti in pochi a parlare una lingua in cui l’idea delle procure produttrici di reportage e di storiografia suona mostruosa, al pari dell’idea del cronista giudiziario come concorrente professionale della pubblica accusa, quasi che la difesa non esistesse (e di fatto, amico lontano, esiste sempre meno), quasi che un giornalista non dovesse vigilare prima di tutto sull’uso e l’abuso di quegli “strumenti più potenti”, quelle spade laser che solo i magistrati possono brandire.
La nostra sparuta colonia di umani, sopravvissuta a un ciclo di battaglie durato venticinque anni, non se la passa bene. Ci lasciano ancora fare le nostre prediche inutili, ma è in atto qualcosa di simile a ciò che i linguisti terrestri chiamano “estinzione linguistica”. Dagli scritti di un filosofo del nostro pianeta, Leo Strauss, abbiamo ragione di temere che presto saremo costretti a comunicare in codice; ma io credo che non sarà necessario, perché una lingua quasi estinta è già come un codice segreto. Resta il fatto che, perseguitati o meno, quaggiù ci annoiamo e ci sentiamo soli. Perciò ti chiedo, caro filosofo di Sirio, se passate da queste parti non è che ci prendete a bordo dell’astronave? Ti porterò in omaggio un’altra opera del nostro comune amico Voltaire, il Trattato sulla tolleranza, da cui potrai apprendere i rudimenti della nostra lingua morente. Chissà che non si riesca a rianimarla su Sirio. Fate presto.
Il Foglio, 7 aprile 2018
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