Guido Vitiello

“Pensiero unico” e pensiero solitario. Kit di autodifesa per liberali interni

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Nella generale sciagura, i liberali d’Italia hanno un magro motivo di consolazione. L’editore Rubbettino ha appena pubblicato un libro del sociologo Raymond Boudon che si intitola Perché gli intellettuali non amano il liberalismo? Non posso che raccomandarvelo caldamente. Quanto a me, ero così certo che il libro non avrebbe mai varcato i patrii confini che – allettato da una lunga anticipazione letta su Commentaire – mi ero affrettato a ordinarne l’edizione francese.

Perciò sarò costretto a tradurvi malamente da lì l’incipit di Boudon: “Considerata la potenza intellettuale del liberalismo, il suo interesse politico, la sua efficacia economica e la sua importanza storica, si è un po’ sconcertati dal fatto che esso sia così poco popolare presso molti intellettuali”. Le ragioni di questa scarsa simpatia sono piuttosto complesse, e le poche pagine di Boudon, scritte con il mirabile ésprit de géométrie che gli è proprio, non riescono certo a sviscerarle del tutto. Ma Boudon non è il primo, né l’unico a essersi posto il problema.

Ho pensato così di approntare per voi un vademecum, o meglio un “kit di autodifesa” per fronteggiare la marea intellettuale antiliberale che negli ultimi anni sembra ingrossarsi a dismisura – grazie anche, duole ammetterlo, a un certo degrado dell’idea liberale, spesso brandita da propagandisti un po’ imbarbariti (quando non barbari in partenza). Potreste obiettarmi che, lungi dall’essere minoritario, il liberalismo è oggi egemonico. Può anche darsi. Ma buttate un occhio su qualunque scaffale di una grande libreria, fate il conto di quanti libri difendono l’idea liberale, poi contate quelli che si accaniscono contro fantasmi come il “pensiero unico neoliberista”… Vi accorgerete che, più che unico, quello liberale è un pensiero solitario.

Eccovi dunque un kit bibliografico di immunizzazione contro il virus antiliberale, da somministrare a voi stessi e ai vostri bambini, se ne avete. Con il vaiolo l’operazione è riuscita, chissà che non riesca anche stavolta… Alcuni di questi libri sono fuori commercio, altri non so. Spiacente, ma questa parte della ricerca non ho proprio avuto il tempo di farla per voi! Allora, in ordine abbastanza sparso:

Ludwig von Mises, La mentalità anticapitalistica.
Uno dei testi fondatori. Risale al 1956, e si sente. Ma alcune intuizioni – come quella di radicare l’avversione al liberalismo nella nozione nietzschiana e scheleriana di risentimento – hanno retto alla prova dei tempi. Risentimento: neanche mi provo a riassumere tutte le sfumature di questa nozione inesauribile, sulla quale ho ormai accumulato una bibliotechina a sé. Ai fini di questo post basterà metterla in questi termini: difficilmente un Emanuele Severino potrà amare una società nella quale la sera in tv, invece di declamare in prime time passi scelti da Essenza del nichilismo, ci s’interroga sulle forme di mostrocismo labiale chirurgicamente indotte delle famigerate gemelle (il cui nome sarà bello tacere).

Robert Nozick, Puzzle socratici.
Uno dei saggi contenuti in questo volume si intitola Perché gli intellettuali si oppongono al capitalismo? Già, perché? L’idea del teorico dello Stato minimo si accosta a quella di von Mises: la chiave è anche qui psicologica, e anche qui la nozione centrale è quella di “ressentiment”, vulgo “rosicamento”. Gli intellettuali rifiutano il liberalismo perché le leggi del mercato non gli accordano le remunerazioni materiali e simboliche a cui credono di aver diritto. C’è del vero.

Raymond Aron, L’oppio degli intellettuali.
Se per i marxisti la religione è l’oppio dei popoli, ebbene, il marxismo è l’oppio degli intellettuali. Che dire? Pura poesia. Un libro che andrebbe imparato a memoria, tanti e tali sono i lumi che apporta. La sezione Idolatria della storia, in particolare, è memorabile, così come la distinzione tra i comunisti “uomini di chiesa” e quelli “uomini di fede”. Alcune scaramucce polemiche – contro Sartre, o Merleau-Ponty – possono suonare un po’ datate, ma l’impianto del libro regge alla prova del tempo. Niente di effimero. Non è (solo) un pamphlet.

Jean-François Revel, La grande parade. Essai sur la survie de l’utopie socialiste.
Leggere Revel è un piacere. Di recente Lindau ha pubblicato la sua ultima fatica, L’ossessione antiamericana, che non è tra i suoi libri migliori. La grande parade, precedente di alcuni anni, è senza dubbio superiore. Parla di come, ignominiosamente caduta la pars construens del comunismo, la pars destruens sia rimasta intatta come per miracolo, a prezzo di acrobazie intellettuali di varia complessità (alcune da veri circensi). In particolare vi consiglio il capitolo quarto, Un dibattito truccato: socialismo contro liberalismo. Il dibattito è truccato perché i socialisti s’immaginano che il liberalismo sia un’ideologia (e purtroppo a volte i liberali glielo lasciano credere). “Il mercato non risolve tutti i problemi”, dice il socialista. “Certo!”, risponde Revel. “Chi ha mai sostenuto una simile idiozia? Ma, siccome il socialismo è stato concepito nell’illusione di risolvere tutti i problemi, i suoi partigiani prestano ai loro contraddittori la stessa pretesa. Ora, non tutti sono megalomani, per fortuna. Il liberalismo non ha mai avuto l’ambizione di costruire una società perfetta”. Non è un’ideologia, insomma “non è una teoria che si fonda su concetti anteriori a ogni esperienza, né un dogma invariabile e indipendente dal corso delle cose o dal risultato delle azioni”. Anche se più di un liberale, ultimamente, tende a scordarselo.

Paul Hollander, Pellegrini politici.
Altro libro di malinconico spasso: i devoti pellegrinaggi degli intellettuali occidentali in Cina, Unione Sovietica, Cuba. Che applaudivano a quei regimi orrendi con un misto di servilismo e scoraggiante dabbenaggine. Diciamo così, non era granché difficile farli fessi, anche se in altri campi erano i massimi ingegni della loro epoca. Ve lo consiglio, assai più di altri libri di argomento affine – come quello di Pierluigi Battista, Il partito degli intellettuali, dedicato al solo caso italiano e teoricamente un po’ debole, o quello di Jean Sévillia, Le terrorisme intellectuel, decisamente troppo destrorso per i miei gusti (molto anticomunista, assai poco liberale).

Carlos Rangel, El Tercermundismo.
Questo dimenticato professore venezuelano aveva capito tutto già negli anni Settanta. Il suo libro sull’ideologia terzomondista e i miti che la contornano rende subito chiara una cosa: non c’è niente di nuovo sotto il sole. L’arsenale degli argomenti dei noglobal, all’apparenza così fiammante, è invero piuttosto arrugginito: viene tutto da lì, dai gloriosi anni Sessanta e Settanta. Stessi bersagli (le istituzioni finanziarie internazionali), stessi pallini (il debito come usura su scala planetaria), tutt’al più qualche rettifica nella pars construens. Nel senso che ben pochi, per fortuna, vedono la soluzione in Fidel Castro. Magari la vedono nell’incappucciato docente Marcos, il che per certi versi è quasi più sconfortante. Da non perdere, a proposito, l’altro capolavoro di Rangel: Del buen salvaje al buen revolucionario (Marcos è una sintesi dei due stereotipi).

Ian Buruma e Avishai Margalit, Occidentalism.
Anche questo lo avevo comprato in originale, disperando nella traduzione italiana, che per fortuna è puntualmente arrivata, da Einaudi. La mia diffidenza verso la nostra editoria è stata sanamente punita! I due autori non sono propriamente dei liberali, ma credo che sottoscriverebbero questo giudizio del Mahatma Gandhi: “L’occidente? E’ una buona idea”. Una rassegna, invero un po’ superficiale, degli stereotipi antioccidentali e anticapitalisti sparsi per il mondo – tutti rigorosamente coniati in occidente.

Albert Hirschman, Le passioni e gli interessi.
Il sottotitolo di questo libro sprizza un raro ottimismo, a cui non credo sia così assennato, oggi, prestar fede: Argomenti politici in favore del capitalismo prima del suo trionfo. Hirschman – un economista-moralista, alla stregua di Adam Smith – racconta come al mondo eroico e aristocratico delle passioni il capitalismo venne sostituendo via via il mondo – più meschino forse, ma senz’altro più umano – degli interessi. Donde la polemica – propria degli antiliberali di destra, ma oggi la distinzione non è più così limpida – contro i “mercanti” (Haendler) contrapposti agli eroi (Helden).

Be’, mi fermo qui, anche se i libri importanti per il vademecum sarebbero molti altri. Ho dovuto tralasciare Karl Popper, Isaiah Berlin, Murray Rothbard; tra gli italiani Ernesto Rossi, Bruno Leoni, Luigi Einaudi; tra i francesi Frédéric Bastiat, Pierre Manent, Luc Ferry, Marc Fumaroli… e così via.

Pazienza. Nel frattempo, buona lettura.

Written by am

gennaio 18, 2005 a 4:46 PM

Pubblicato su Trattati bonsai

4 Risposte

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  1. Con un ritardo di soli sette anni e mezzo, mi permetto di consigliarti (ma sicuramente l’avrai letto ed io avrò fatto una pessima figura da saccente) “La Fine dell’Economia” di Ricossa. Veramente bello e scritto alla maniera di Ricossa (ovvero benissimo)

    Piano Ennio (@pianoennio)

    luglio 16, 2012 at 12:09 PM

    • Grazie, non l’ho letto e lo leggo volentieri (di Ricossa, in materia, ho solo “Impariamo l’economia”!)

      unpopperuno

      luglio 16, 2012 at 12:19 PM

  2. Molto bello e molto utile, grazie! Ma un commento sui limiti del pensiero liberale declinato in salsa nostrana ci potrebbe stare… P.e. Giolitti… E magari il PLI dell’immediato dopoguerra… E pure i c.d. liberali di oggi, poi.

    Credo che siano comuni gli intellettuali che vorrebbero poter esprimere idee liberali ma temo si sentano orfani di un riferimento coerente.

    Francesco Vissani

    dicembre 31, 2019 at 9:47 am

    • Grazie! Ma considera che son cose scritte quindici anni fa, ero ancora nei miei vent’anni, tante cose le ho capite dopo

      Guido

      dicembre 31, 2019 at 10:15 am