Contro gli stakanovisti della firma, o del clic
Riprendo tra le mani un libro illuminante sul maggio parigino, il quaderno d’appunti che l’erudito ucraino ed ex deportato Piotr Rawicz compilò a caldo nei giorni delle barricate. S’intitola Bloc-notes d’un contre-révolutionnaire, ou La gueule de bois (Gallimard, 1969). Trovo questo passo, che avevo sottolineato:
Visita presso un grande editore della rive gauche, nell’ufficio di uno dei suoi direttori di collana. Il telefono squilla senza sosta. Stavano redigendo una mozione, un “manifesto” sulla “manifestazione” di ieri… da far firmare a tutti i firmatari abituali, tutti gli stakanovisti della firma. Si discute di virgole e di punti. Conviene dire “il movimento internazionale della gioventù” o piuttosto “il movimento della gioventù dei paesi”?… Un’illusione di attività, di comunione con il mondo… attraverso le firme. Che misero surrogato! Il tutto per scappare al vuoto e alla solitudine.
Vedendomi sfilare sotto gli occhi ogni giorno, via Facebook e simili, mandrie foltissime di appelli più o meno sensati, più o meno peregrini, mi chiedo se gli stakanovisti della firma non abbiano ormai perso ogni residua zavorra che li ancorava alla realtà, forti di un mezzo che permette di sfornare petizioni a centinaia, e di raccogliere con la stessa facilità centinaia di adesioni. Quando si stampa troppa moneta, l’inflazione è ineluttabile.
A costo di sembrare un paleo-materialista, di quelli che considerano con sospetto l’economia finanziaria e non danno credito che alle acciaierie, alle industrie tessili o ai caseifici, confesso di diffidare di qualunque forma di impegno politico che non comporti lo scendere dal letto, infilarsi le scarpe, raggiungere posti scomodi magari sotto la pioggia e, se possibile, spendere dei soldi. Anche su PayPal, se è il caso.
Come va ripetendo da anni Marco Pannella con l’ossessività di cui lui solo è capace, “non esiste professione di fede valida che non sia accompagnata dall’obolo di uno scellino”.
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