Tre libri perduti o sognati
Chi abbia anche solo sfogliato la Biblioteca di Fozio, «patriarca recensore» di Costantinopoli, o il catalogo ottocentesco dei Livres perdus et exemplaires uniques dei due bibliografi francesi Joseph-Marie Quérard e Gustave Brunet sa bene che tra gli «stati molteplici dell’essere» in cui può collocarsi un libro, il più grossolano e vile è senz’altro quello dell’esistenza empirica. L’esser stampato, per un libro, equivale alla Caduta nel tempo: il codice Isbn è il marchio dei dannati. Un libro perduto è invece un libro redento, giacché è riconsegnato felicemente al mondo dei possibili. A quel mondo acquatico di pura potenza, d’altronde, si rivolgevano gli editori del Cinquecento quando, per sfuggire alla censura ecclesiastica, indicavano Atlantide come luogo di stampa. Ebbene, il continente sommerso è il luogo di stampa dei tre libri – perduti o sognati – di cui si fornisce, qui di seguito, una breve scheda bibliografica. Sono tre operette satiriche sulla nostra vita culturale, e c’è da credere che si siano rifugiate loro stesse nei giardini della preesistenza, così da scampare all’orrore che ci circonda.
Il primo pamphlet è un’allegoria in forma di racconto gotico, che s’intitola The Portage to San Cristóbal of M.H. La storia del pensiero del secolo scorso è qui letta sulla falsariga del Nosferatu di F.W. Murnau. Il nostro malinconico e meditabondo vampiro, rettore a Friburgo, si unisce in tregenda a una genìa di orride creature della notte – di Valpurga, dei lunghi coltelli, infine dei cristalli – e della nebbia. L’esorcismo arriva tardi ma arriva, e i mostri finiscono impalati a Norimberga. Non il nostro vampiro filosofo, che lascia il suo capanno nella Foresta Nera e su una nave altrettanto nera, dalla stiva carica di topi e di bare e di terriccio, vira alla volta di Parigi. Qui è accolto con grandi onori, e diffonde il suo contagio mordendo sul collo molti philosophes più o meno scamiciati, i quali veleggiano a loro volta verso l’America, dove la peste si estende fino a coprire l’intero spettro delle scienze umane. I sintomi sono stati più volte elencati dalla semeiotica medica: chi è morso dal nostro vampiro prima discioglierà tutte le scienze e le dottrine nei vapori della filosofia; poi frantumerà ogni singola parola sotto il pestello dell’etimologia; infine sarà incapace anche di scrivere “mamma” o “gatto” senza qualche trattino allusivo – “m-amma”, “g-atto”: allusivo di cosa, neppure lui saprebbe dirlo più. Non riveliamo al lettore il grandguignolesco finale, ma ci pare giusto fargli sapere che l’anonimo autore del pamphlet, per sottrarsi al contagio, si diede con grande soddisfazione al commercio dei grani.
Il secondo libro che incontriamo nel mondo dei possibili è un terrificante racconto di science-fiction, certo una variazione sul mito del Golem, ma il lettore avveduto vi troverà un’eco di capolavori del genere come The Day of the Triffids o The Body Snatchers. Vi si descrive un circolo accademico, folto di bulgari e parigini, che dagli anni Sessanta coltiva un’idea all’apparenza innocua: che i testi, cioè, abbiano poco o punto a che fare con il mondo al di fuori di essi, e alla fin fine nemmeno con il loro autore, dato per morto o per vacante. Questi apprendisti stregoni non immaginano nemmeno lo scenario apocalittico suscitato dalle loro teorie: romanzi e film, opere d’arte e poesie, non appena apprendono che è stata loro concessa, per grazioso decreto, l’autonomia ontologica, si sciolgono dai loro legacci e vagano impuniti per le strade della grande città, divorando quel che resta del mondo reale, compresi i suddetti accademici. I maestri delle scuole sottili finiscono orribilmente spolpati, chi dalla Summa Theologiae, chi dalla Genealogia della morale, chi da Pinocchio. Il racconto porta, per titolo, L’invasione degli Ultratesti ed è firmato con l’oscuro pseudonimo di Frank Morimondo.
Qualche notizia, invece, ci è pervenuta sull’autore dell’ultimo libro, un giovane cileno che ha fatto una brutta fine negli anni di Pinochet: desaparecido lui, desaparecido il suo libro. Si tratta di una cupa fantasia profetica che lo tormentava ogni notte ma che egli stesso censurava, ritenendola – forse a ragione – un incubo reazionario. Alla fine, quasi di contraggenio, si risolse a metterla nero su bianco con il titolo La sombra del General. In essa, la vita culturale dell’avvenire è ridotta a una ripetizione spettrale e senza vita dell’allegra e caotica bohème degli anni di Unidad Popular. Un carnevale coatto e perenne, dove stuoli di ragazzi dagli occhi spenti – molto simili ai capelloni descritti in quegli anni da un poeta italiano – sciamano da un festival a un reading, da un reading a un book party, da un book party a un poetry slam, e da un poetry slam di nuovo a un festival, senza mai passare per un libro. Tutto diviene evento, e nulla accade più. Ebbene, nella truce fantasia il poltergeist del Generale – invisibile, come ogni spettro: segnalato però dal mantello nero svolazzante e dagli occhiali fumé – piomba su questi ritrovi e, come nelle retate dei suoi anni terribili, mette a soqquadro tutto. Salvo accorgersi che non ci sono più subversivos, e che quei pochi che c’erano sono morti più di lui.
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Questo breve testo è stato scritto per Mediaevo. Registro dei progetti editoriali di Luca Sossella editore, che si può leggere qui in versione digitale, ma che esiste anche in versione cartacea.
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