Invito a cena all’Olympia di Manet. Sui “Ritratti di pittori” di Walser
“Il quadro è di Andrea Appiani e rappresenta il Parnaso, ovvero il bunga bunga del 1811. Quello là sono io, e questo si chiama Mariano Apicella”. Ecco, quando si tratterà di far capire qualcosa dell’Italia di Berlusconi a chi non c’era o a chi è arrivato tardi, scordiamoci pure delle mille barzellette improvvide o scemotte, ma non di questa didascalia fornita nel giugno scorso a Netanyahu ospite a Villa Madama, né dei pubblici biasimi che suscitò. C’è dentro tutto, ad avere occhi per vedere: il paradosso vivente di un Duchamp nazional-popolare (oggi il solo modo per salvare la Gioconda è farle un paio di baffi), la parodia di dissacrazione cui fa il verso una parodia d’indignazione, la carcassa vuota della solennità istituzionale abitata ormai da un’operetta alla Offenbach dove gli dèi ballano il can-can. Ma chissà che la battuta su Berlusconi e Apicella ignudi tra le Muse non dica qualcosa anche di Appiani e del neoclassicismo, e di quell’arte che riusciva a tenere assieme, come sul punto di scoppiare in una risata, il dio Apollo e Napoleone.
Certo una sconvenienza del genere non uscirà mai dalla penna di uno storico dell’arte. C’è però un piccolo libro in cui, a pensarci bene, non suonerebbe così stonata – un libro dove, per dirne una, l’autore ha l’insolenza di invitare a cena l’Olympia di Manet. Ritratti di pittori (Adelphi) raccoglie prose brevi, poesie e dialoghi di Robert Walser tradotti con grazia impeccabile da Domenico Pinto, e si apre con il biglietto galante di un uomo alla sua affittacamere, la moglie del cancelliere, che gli ha staccato dalla parete “Apollo e Diana” di Cranach perché troppo scollacciato: “Nondimeno, gentile la mia Signora, vorrà concedermi, per la benevolenza di cui La sento capace, di rimettere il quadro là dov’era”.
Ma diciamolo pure, quando un recensore rimesta tra le battute di Berlusconi per parlare di Walser è segno che davvero non sa che pesci pigliare. D’altro canto, descrivere Ritratti di pittori è sfida perduta in partenza. Se per Walser lo scrittore non è che l’ombra di un pittore, chi voglia render conto delle sue pagine sull’arte si troverà tra le mani appena l’ombra di un’ombra: capirete bene che non è gran cosa. E allora rubiamogli almeno un bell’inizio cerimonioso e noncurante, che più walseriano non si può: “Nonostante tutto, e per inciso non deve preoccuparmi troppo il senso di questo incipit, io penso, e il mio sarà solo un breve articoletto irrilevante, a quell’uomo prigioniero e ignudo, perso nella notte dei tempi”. Walser si prepara qui a parlare di Brueghel; ma perso nella notte dei tempi o sonnambulo nel loro pieno giorno, vorrebbe suggerire il nostro articoletto irrilevante, lo è anche lui. Forse perso nello stesso sonno di Polifilo, come quando fa parlare il “Figliol prodigo” di Rembrandt o “Pensent-ils au raisin?” di Boucher come fossero emblemi rinascimentali. O perso in altro e più divino sonno, quello dell’“Indifferente” di Watteau, emblema rococò di “quanto indifferenti possano essere, a un uomo sensibile, le apparenze e le occasioni concrete”: è quel che più si approssima a un’autoallegoria di Walser, che per apprendere questo oblio del mondo s’inventò perfino una scuola, l’Istituto Benjamenta, dove il corpo docente dorme senza tregua.
Lo stesso oblio ispira le pagine così felici sull’“Arlesiana” di Van Gogh, quadro per cui non può esistere “nella nostra società un posto adeguato”: il ritratto di una donna sgraziata, che nessuno vorrebbe dipingere, e per il quale si fatica a immaginare un committente. “Chi mai avrebbe interesse ad appendersi in camera un quadro dal soggetto così ordinario?”. Ecco, un quadro per nessuno: la sovrana gratuità dell’arte, a cui si può corrispondere solo con la grazia di uno smemorato che rievochi un sogno: “Dopo essermi impresso il quadro bene in mente, andai a casa e gli dedicai un saggio per la rivista Kunst und Künstler. Il suo contenuto però mi è uscito di memoria, quanto detto sopra non è che il desiderio di farlo rivivere”.
Articolo uscito sul Foglio il 22 ottobre 2011 con il titolo Nei ritratti di pittori di Robert Walser c’è il suo più fedele autoritratto.
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