Guido Vitiello

La psicoanalisi come genere letterario. Fachinelli su Freud (e Rilke)

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Un’etimologia bella e bugiarda è meglio che nessuna etimologia. Chi crede che merenda venga da meritare, o che paralitico abbia a che fare con la pietra, guadagna con le parole un’intimità, una confidenza che è preclusa a chi le accosta da semantico frigido e distratto. Ora, siccome la psicoanalisi si può considerare a buon diritto una branca dell’etimologia, una dottrina che riconduce i desideri derivati alla loro prima radice, ecco una buona ragione per disinteressarsi fino a un certo punto della sua verità o falsità; purché, beninteso, la si sappia intendere poeticamente: Borges leggeva le Etymologiae di Isidoro di Siviglia con lo stesso spirito con cui leggeva Jung, cercando nell’uno e nell’altro le stesse intuizioni.

Che nostalgia per gli psicoanalisti-poeti, per quei grandi e temerari affabulatori: le origini della psicoanalisi ne erano affollate, prima che s’insediasse una scolastica verbosa, settaria e un po’ pavida. Rileggere oggi Thalassa di Ferenczi, il Trauma della nascita di Rank, le spericolate congetture antropologiche di Roheim riserva di quei piaceri che danno solo i grandi romanzi. Venne poi la seconda rinascenza poetica, quella degli anni Sessanta e Settanta, annunciata dal fatale 1959: in quell’anno videro la luce due capolavori letterari, La vita contro la morte di Norman O. Brown e L’io diviso dello psichiatra Ronald Laing. La peste lacaniana era alle porte, e le porte non erano sorvegliate a dovere.

A questa seconda rinascenza partecipò anche Elvio Fachinelli, di cui Adelphi pubblica in questi giorni il piccolo libro Su Freud, una raccolta di saggi, note e scritti d’occasione. Il Freud di Fachinelli è prima di tutto l’artista, che intrattiene con la sua opera un rapporto “assai vicino al legame di figliolanza carnale, per così dire, che si stabilisce tra lo scrittore e il suo libro, tra il pittore e il suo quadro”. Fachinelli lo paragona – e non è certo il primo – a Schliemann, “l’ingenuo quanto fortunato scopritore della città di Troia”, sepolta anch’essa come l’inconscio; coglie nel Freud adolescente un eroe dickensiano, un ragazzo di “grandi speranze” che si prepara alle sue imprese studiando a lume di lampada; vede nel suo itinerario intellettuale la prova certa che un frammento di Goethe sulla lingua misteriosa della natura, letto in gioventù, si era fatto largo nei suoi pensieri.

Sciascia si definì una volta un illuminista che crede nelle coincidenze; la formula si adatterebbe a meraviglia a uno psicoanalista-poeta come Fachinelli, e alla sua lettura ispirata di Freud: più che alla linea melodica del suo pensiero, presta orecchio agli accordi – il ricorrere delle metafore di opera in opera (come quella della generosità dell’imperatore Giuseppe II), l’ostinato demone dell’analogia, gli echi che s’inseguono da un capo all’altro della sua vita, noncuranti delle leggi della cronologia. Che sono, poi, le leggi invalicabili contro cui la psicoanalisi può ancor meno della poesia. Lo rivelano le pagine più belle del libro, quelle dedicate a “Freud, Rilke e la caducità”.

Il dialogo tra l’anziano psicoanalista e il giovane poeta è tra i più commentati del Novecento, secondo solo a quello – misterioso, ma che s’immagina meno interessante – tra Heidegger e Celan. Si era probabilmente nel settembre del 1913, in margine a un congresso, ma Freud, dice Fachinelli, si concede la licenza poetica di retrodatare l’incontro di qualche settimana e di spostarlo in campagna, davanti al fulgore della natura estiva. Di tutta quella bellezza Rilke non sapeva gioire, perché la sapeva destinata all’estinzione. Freud non poté di meglio che ammannirgli un argomento un po’ curiale, da falso amico di Giobbe: è proprio la transitorietà delle cose a renderle preziose. Tutto qui? Questa saggezza mondana è un receipt for deceit, una ricevuta per l’inganno, avrebbe detto Eliot. Rilke, dal canto suo, tornò a quei pensieri nella Nona elegia duinese, dove porgeva l’immagine di un mondo effimero che “stranamente ci sollecita”, che domanda all’essere più effimero di tutti, l’uomo, di salvarlo. La poesia vince la psicoanalisi, certo, ma nella progressione dei trionfi è sempre penultima. Rilke morì nel 1926, Freud nel 1939. Resta, più poetica ancora, la fotografia che Fachinelli lascia di quell’incontro di un’estate lontana, lo psicoanalista e il filosofo immortalati nella comune impotenza.

Articolo uscito sul Foglio il 13 settembre 2012 con il titolo L’incontro tra Freud e Rilke secondo Fachinelli, psicoanalista-poeta

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