A pensar male non ci si azzecca. La fiction sul caso Tortora
“Il Signore ha dato, il Signore ha tolto”. Lo diceva Giobbe di un Padreterno che gli aveva fatto portar via tutto – ricchezze figli e salute – per mano dell’Accusatore, ma che pure finì per rendergli il centuplo: tutto sommato, ci si può anche stare. “Ciò che la giustizia toglie, la giustizia rende”. Questo invece lo ha detto il magistrato-scrittore Giancarlo De Cataldo qualche giorno fa a proposito di Enzo Tortora, a maggior gloria di una magistratura che dopo quattro anni di tormenti inflitti a un innocente ha saputo riconoscere il proprio errore, mandandolo assolto; e no, in questo caso proprio non ci si può stare, a meno che De Cataldo non ci dica che cosa esattamente ha avuto indietro il novello Giobbe dalla dea Giustizia: la salute? le ricchezze? la carriera? gli anni di vita perduti? la condanna dei suoi calunniatori? la punizione, anche solo simbolica, dei suoi accusatori (con la minuscola)?
Ma a ciascuno la sua penitenza: oggi tocca a me fare ammenda per un errore che, se non proprio giudiziario, è certamente di giudizio. Il 15 febbraio scorso, su queste pagine, avevo scritto una recensione preventiva alla fiction di Ricky Tognazzi sul caso Tortora, che ha De Cataldo tra gli sceneggiatori e che RaiUno ha mandato in onda domenica e lunedì. La accusavo, con un inclemente processo alle intenzioni, di aver ridotto il caso Tortora a una vicenda privata e a un’aberrazione episodica, e di aver nascosto deliberatamente tre cose: le responsabilità dei magistrati, le colpe dei giornalisti e l’impegno di Tortora nel Partito radicale. A quanto pare, a pensar male non solo si fa peccato, ma non ci si azzecca neppure.
Onore al merito: Il caso Tortora – Dove eravamo rimasti?, pur con tutti i suoi limiti (le fiction Rai sono brutte per definizione) e qualche peccato di omissione, è la cosa meno reticente che la tv, pubblica o privata, abbia trasmesso negli ultimi venticinque anni di rimozione e di oblìo. Ben più franca dello speciale di Minoli, delle puntate del Maurizio Costanzo Show o del film Un uomo perbene con Michele Placido, tutti paralizzati da preoccupazioni diplomatiche e autocensure preventive. Nella fiction di Tognazzi, le colpe dei giornalisti sono bene in vista: si citano le testate, si fanno vedere le copertine. Non si fanno troppi nomi, ma una scritta prima dei titoli di coda rende merito a Paolo Gambescia, l’unico ad aver chiesto scusa per aver contribuito al linciaggio, e chiama implicitamente in correità tutti gli impenitenti. E i magistrati? Li vediamo accorrere, cappello in mano, da Giovanni Pandico che spadroneggia come un sultano; li vediamo accanirsi nell’errore tra mille disastri investigativi perché ormai, dice lo stesso Tortora, devono condannarlo per salvare la faccia e il maxiprocesso. Non c’è una sola scena da cui traspaia la loro buona fede. È mostrata e denunciata senza tregua la barbarie del carcere preventivo, l’indecenza delle prigioni italiane di ieri e di oggi, la follia dei processi costruiti su dicerie senza riscontro dei vari Pandico o Melluso.
Ma soprattutto, ed è la cosa più inattesa, dopo anni di estromissione ci sono i radicali: c’è Pannella, c’è RadioRadicale, c’è la campagna elettorale di Tortora agli arresti domiciliari dalla tv casalinga di via Piatti, ci sono le dimissioni dall’europarlamento e l’arresto pubblico in mezzo alla folla dei militanti. Certo, si dirà, non c’è il referendum per la responsabilità civile dei magistrati, e tutto quel che sappiamo di Tortora dopo l’assoluzione è la notizia della morte. Ma andiamo, quando mai avevamo sentito riconoscere, in prima serata su RaiUno davanti a milioni di spettatori, che la battaglia di Tortora è stata (ed è) la battaglia di Pannella? Quando mai avevamo visto rendere onore non al Tortora lacrimevole, ma al Tortora combattente?
Insomma, avevo sbagliato quasi tutto. E così, dopo i titoli di coda, ai quali (ironia involontaria) è seguito uno spot delle calzature Melluso, sono andato a rileggere quella vecchia recensione preventiva, e ho appreso che in poche ore decine e decine di persone erano arrivate al mio blog cercando su Google “magistrati del caso Tortora”. In effetti, in quattro ore di fiction non è fatto il nome di un solo magistrato, né è fatta menzione delle loro sfolgoranti carriere. Un giallo senza i nomi dei colpevoli? Ma non si può aver tutto e subito, e chi voglia i nomi e i cognomi può sempre leggere il libro di Vittorio Pezzuto, Applausi e sputi, o frugare negli archivi di RadioRadicale, dove troverà tutto quel che c’è da sapere di una delle più entusiasmanti battaglie civili della storia repubblicana.
Articolo uscito sul Foglio il 3 ottobre 2012 con il titolo Perché Tognazzi e la Rai sul caso Tortora hanno fatto meglio di Minoli.
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