La canzone mononota di Eugenio Scalfari
Si dice che un orologio rotto segni due volte al giorno l’ora esatta, ma il commento di Eugenio Scalfari ai risultati delle elezioni spinge a dubitare di questa legge generale. Martedì, su Repubblica tv, il Fondatore ha spiegato la causa profonda del tracollo: un millennio di dominazioni straniere. Si deve al retaggio dei normanni o degli spagnoli se una parte dei nostri concittadini non crede nello Stato e nelle sue leggi, e quella parte degradata “è fatta da due categorie: gonzi o furbi”. Poche settimane prima la pendola scalfariana aveva dato lo stesso rintocco: “La nostra indifferenza alla vita pubblica, la nostra scelta del ‘particulare’, (…) la nostra disponibilità alla demagogia, sono un derivato della nostra storia. ‘Francia o Spagna purché se magna’ è un proverbio che sintetizza quattro secoli di servitù a potenze straniere e a Signorie servili e corrotte”. Anche Scalfari, come Elio, ha la sua “canzone mononota”, e setacciando gli archivi di Repubblica e il mattoncino del Meridiano si potrebbe comporre un breviario dello scalfarismo in pochi semplici concetti, buoni per fraintendere tutte le stagioni della vita repubblicana: la polemica contro “l’uomo del Guicciardini” e il “familismo amorale”, il qualunquismo come nemico mortale, i valori (propri) contrapposti non già ad altri valori ma alla meschinità degli interessi, l’eterna maschera del Pulcinella o del Pantalone identificato, di volta in volta, con uno dei personaggi che calcano la scena pubblica (Berlusconi prima di tutto, ma ora per lui è Grillo “l’arci-italiano del peggio”), insomma tutta la sentina dei vizi italici su cui far discendere l’apostolato civile dell’“Officiante del dover essere”, titolo di cui Scalfari stesso si è voluto fregiare. “È la maledetta malattia italiana: l’uomo del Guicciardini, che tira a campare; il solito Stenterello, servitore di dieci padroni”. Questo però non è Scalfari, è Piero Calamandrei, addì 1946, all’epoca del referendum sulla monarchia. Le lancette, a quanto pare, sono ferme lì.
Questa caricatura intristita della componente meno liberale dell’azionismo, quella moralistico-giacobina, via via fossilizzata in posa e in ostentazione di status morale, è il sigillo che il Fondatore ha impresso su Repubblica e sulla sua larga famiglia. E così lunedì, dopo le prime proiezioni, partivano due esiziali tweet di Gad Lerner, ottimi per perdere le prossime centoventi elezioni: “L’ostilità alle regole è uno dei vizi italici che spinge gli elettori del centrodestra a confermare il loro voto”, e poi: “Nel segreto dell’urna Bersani non ti vede, ma l’Imu sì”. Il giorno dopo Massimo Giannini parlava del centrodestra come di “un blocco sociale tenuto insieme dagli interessi più che dai valori”, e affermava che il Pd ha perso perché “il Paese non ha capito, e non ha seguito”. Uno legge cose così e alza le braccia, gli passa la voglia perfino di svelarne la supponenza, la riproposizione svogliata di cliché antropologici e sociologici, l’assenza della pur minima curiosità per gli elettori degli altri.
Decenni di apostolato del dover essere non hanno salvato l’anima a un solo Stenterello, ma in compenso hanno instillato nel senso comune dell’elettore di sinistra e del lettore di Repubblica quelle disarmanti (e arci-italiane) banalità che risuonano dopo ogni voto: domani emigro a Parigi, siamo un popolo di servi, e così via. Ora, dopo averlo accompagnato passo dopo passo sulla via della disfatta, Repubblica torna a spiegare al Pd cosa il Pd dovrebbe fare, e Giannini mette in croce il povero Bersani chiedendogli candidamente, come niente fosse, se la colpa è “degli italiani che non hanno capito o di voi che non vi siete spiegati”. Il segretario era un pugile troppo groggy per rispondere a tono. Ma quando si rimetterà in sesto dal colpo, lui o chi per lui si scrolli di dosso, e in fretta, la tutela morale di Balanzone, e riscopra una verità semplice e bella: che la democrazia la si fa con Stenterello, non contro di lui.
Articolo uscito sul Foglio il 2 marzo 2013 con il titolo Fondatore mononota.
Non ho mai amato Repubblica e non amo Scalfari, ma trovo la polemica sul “partito di Repubblica” davvero stantia: se Scalfari sembra fermo al ’46, cerchiamo di non rimanere fermi al ’94. Ho come l’impressione che non ti capiti spesso di incontrare Stenterello. Io che abito nel suo stesso palazzo e frequento i suoi stessi luoghi, ti assicuro che Stenterello non legge più Repubblica e, se mai la legge, non è certo per farsi dettare una linea di condotta politica da Balanzone.
Per vent’anni si sono rimproverati a quel quotidiano – spesso a ragione, altrettanto spesso per simmetrico spirito di fazione – tutte le caratteristiche da te elencate: lo snobismo, il giacobinismo deteriore, l’essere house organ della Sinistra e ancor più decisamente della Magistratura. Bene, e quale sarebbe il legame tra gli editoriali di Repubblica e il fatto che un movimento ‘ni-droite ni-gauche’ sia riuscito a conquistare *trasversalmente* un quarto dell’elettorato raccogliendo temi, proposte, e retoriche che, al di là delle pittoresche apparenza, non hanno granché di democratico? E’ tutta colpa di Repubblica?
A me, se devo essere sincero, preoccupa di più una tendenza diametralmente opposta a quella di Scalfari, e in questo momento assai più diffusa: quella dell’intellettuale (gauchiste, liberal o neodestrorso che sia) che, attraverso Grillo, riscopre “il Popolo”, o meglio riscopre la possibilità di chiamare “Popolo” la Massa, invocando “rispetto” e “capacità di ascolto” dei sommovimenti di panza della stessa. Attenzione a giocare con le panze e col loro contenuto…
Federico Gnech
marzo 3, 2013 at 4:14 PM
bah, mica l’ho capito molto sto commento. Nell’articolo si parla d’altro comunque. Si parla del fatto che una certa cultura di sinistra, una certa classe sociale, la borghesia “illuminata” diciamo, non è in grado di raccontare il paese, lo giudica, invece di narrarlo, descriverlo. Tralaltro in nome di un approccio fondamentalmente classista. La stampa progressista un tempo non giudicava, bensì si poneva l’obiettivo di una concreta funzione educativa. Tutto questo non c’è, il lector nelle fabulae di Scalfari non sono i cittadini, o il Popolo, bensì sostanzialmente le istituzioni stesse. Scalfari scrive sopra le teste dei cittadini, “detta” linee, suggerisce scelte, ai capi di partito, ai presidenti della repubblica. Che modo di fare giornalismo è? Per quanto sia una delle menti più acute e competenti della storia politica italiana, il suo progressismo è divenuto uno scadente surrogato di realpolitik. Personalmente, ormai lo trovo insopportabile, per quanto ci sia sempre da imparare dai suoi editoriali. Ma molto spesso ciò che si impara è una metaconoscenza, ovvero si impara il cinismo, si impara ad assumere uno sguardo amaro sulle relazioni sociali e politiche di questa postmodernità ormai svuotata di ogni radicale idea democratica.
Nicola Rossi
marzo 4, 2013 at 1:09 am
Non sono sicuro che la stampa di sinistra de ‘na vorta fosse migliore, quando era un’emanazione diretta delle segreterie, impegnata più nella propaganda – davvero “mononota” – che nella “pedagogia”. In questo senso “Repubblica” a fine ’70 rompeva uno schema (anche quelli dei gruppettari erano in fondo organi di partito). Comunque sia, credo che stiate sopravvalutando di molto la capacità di influenza di Repubblica sulle scelte del PD, in particolare in questi ultimi tre o quattro anni. Sul fatto che tra il partito e la realtà del Paese ci sia uno scollamento fatale mi pare che siamo tutti d’accordo, ma credo che per spiegarne le cause non bastino un corsivo o un commentino. Direi che tutto il complicato sistema di quadri intermedi dei partiti di massa non esiste più, base e vertice comunicano malissimo, se comunicano. Nei partiti populisti, per contro, i quadri intermedi sono di troppo, basta l’intuizione della Guida suprema. Forse occorre imitarli?
Quella che proprio non condivido è l’idea per cui “il Popolo capisce”, mentre il PD no, perché, suggerisce Guido, la sua linea sarebbe malamente diretta da quel trombone snob e giacobino di Scalfari. ‘Ma che davero davero’? E a cosa si riduce la Politica, secondo voi? A una sorta di rabdomanzia degli umori del “Popolo”, che si devono assecondare sempre e comunque? Non credo lo pensiate.
Come sbagliano i ceti dirigenti, non riuscendo a capire i sacrosanti interessi dell’elettorato, così, a volte, l’elettorato non riconosce i suoi stessi interessi, e agisce come il proverbiale marito che si taglia i cosiddetti per far dispetto alla moglie.
Pensate ai danni che potrebbe fare una trovata come quella lanciata da Grillo l’altroieri, quella del “referendum online sull’euro”…
Federico Gnech
marzo 4, 2013 at 11:41 am
Per quanto di solito apprezzi Giannini, martedì scorso anch’io sono rimasto letteralmente esterrefatto di fronte a quel “ma tutte queste vergogne e tutte queste menzogne non bastano a scongelare un blocco sociel tenuto insieme dagli interessi più che dai valori”. L’ho sottolineata questa frase nell’articolo e ci ho scritto una noticina a margine: “ovvio! e per fortuna, bisogna capirla sta cosa magari.” Per poter pensare il contrario bisogna essere davvero disconnessi dalla materialità della vita, della miseria della vita di milioni di cittadini.
E anche quel “Paese non ha capito, e non ha seguito”. Magari il Paese ha capito benissimo, ha capito che quella politica di “crescità, equita, adesione ai valori dell’Europa e ai canoni dell’Occidente” il pd non l’aveva chiara, non l’aveva scelta, bensì si era dedicato per circa due mesi a squisite e appassionanti trattative preelettorali. Il paese capisce, solo che capisce diversamente da loro.
Nicola Rossi
marzo 4, 2013 at 1:24 am
Prof. Vitiello, la seguo da anni con particolare interesse e soddisfazione intellettuale. Sappia che quando noto che è segnalato un suo nuovo pezzo tra i miei RSS, mi spizzico la carta come un giocatore di poker.
Ciò detto, è possibile che ora si debba adeguare a commentare un Eugenio Scalfari & co. qualsiasi?
Possibile che le sfugga che si tratta di uno sport ormai datato (ricordo addirittura anni fa una apposita rubrica sul Foglio), trito, del tutto orfano della possibile verve (se mai) iniziale che si creava tra chi osava l’indicibile (giornalisticamente) e chi riscontrava una (all’epoca) rara consonanza alla sua insofferenza per l’Officiante del Dover-Essere?
Possibile che non si renda conto di essersi degradato, con questo articolo, dalla carica di Gran Maestro del Supremus Ordo Fantotianus Equitum Prunellae Balloris (della quale purtroppo temo una Sede Vacante) a quella di Officiante dell’Officiante del Dover-Essere?
Mario Valentino
marzo 4, 2013 at 3:00 PM
Grazie per tutti i commenti, ma avete letto nelle mie parole più cose di quel che ci sono. Ho parlato solo di un vezzo, di radice scalfariana, e degli abbagli che induce. Non ho parlato di partito di Repubblica, non ho detto che Repubblica detta la linea al Pd, non ho detto che Repubblica ha fatto nascere Grillo, non ho detto che Stenterello legge Repubblica. E quanto a Scalfari (ovvio che non è lui il problema) mi sono limitato a uno sfottò quasi affettuoso. Tra tutte le cose che non ho detto, però, una l’ho detta: e cioè che c’è qualcosa di miope e di profondamente illiberale nel pretendere di fare la democrazia disprezzando buona parte del popolo. Giusto o sbagliato che sia il disprezzo, semplicemente non funziona così.
unpopperuno
marzo 5, 2013 at 1:01 PM
“Insomma, se i partiti non rappresentano più gli elettori, cambiamoli, questi benedetti elettori” :)
Ho capito, probabilmente esiste il disprezzo di cui parli, soltanto non mi sembra possibile definirlo disprezzo tout-court. E’ piuttosto l’insofferenza per alcune tendenze che, a seconda che ci si svegli più o meno reazionari la mattina, si leggono come caratteristiche perenni o come contingenze storiche.
E tuttavia…io credo davvero, ad esempio, che B. sia l’arcitaliano per eccellenza. Mentre per vent’anni non ha voluto crederlo la quasi totalità della Sinistra, impegnata ossessivamente ad accusarlo di aver plagiato una nazione intera con le sue televisioni (solo Richelieu D’Alema forse aveva capito come stavano le cose)
Anche “amare” il popolo come se fosse un infante, privo di responsabilità, è disprezzarlo, no?
Comunque sia, sbaglio io confondendo la forma dell’analisi politica con quella del corsivo, nella quale eccelli.
Federico Gnech
marzo 5, 2013 at 2:25 PM
Non mi pare una difesa degna di un giudice di una Corte Marziale, sebbene in questa sede incompetente.
Lo sfottò, sia pur ritenuto affettuoso, resta un esercizio ormai abusato nei confronti della banda scalfariana, come anche la precisazione, evidentemente superflua a chi sappia leggere, attinente la illiberalità del disprezzo (direi, meglio: del Dover Essere del disprezzo) di quella congrega.
Confesso che continuo sempre più a temere un’altra Sede Vacante.
Mario Valentino
marzo 5, 2013 at 9:38 PM
Non la seguo, ma grazie lo stesso per il commento!
unpopperuno
marzo 8, 2013 at 7:34 PM
Peccato: ho ricontrollato la sintassi, e mi sembra non ci siano pecche.
I riferimenti, sebbene impliciti, mi pare che restino chiari, trattandosi (quell’ultimo mio intervento che dice di non riuscire a seguire) di controreplica alla sua replica al mio primo commento, sicché forse sarebbe bastato leggerli di seguito ai suoi.
Ma forse è chiedere troppo: qui siamo noi a leggere lei, e non viceversa.
Ossequi!
Mario Valentino
marzo 10, 2013 at 9:14 am
No, non mi fraintenda, io la leggo (e vi leggo) volentieri, è solo che a un certo punto ho perso il polso della polemica. Ho scritto un corsivo su Scalfari, lei lo ha trovato un esercizio banale, e va bene così. Ma resto il Gran Maestro del S.O.F.E.P.B.
www.unpopperuno.net
marzo 12, 2013 at 9:58 PM