Guido Vitiello

Sylvia North Unveiled. Su un enigma di “Mulholland Dr.”

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Schermata 2014-01-18 a 00.43.08Il 20 gennaio del 2002 The Observer, il domenicale del Guardian, ospitò uno strano gioco a premi. Da pochi giorni era uscito nelle sale Mulholland Dr., e molti si scervellavano nel tentativo di mettere in ordine i pezzi del rompicapo. Così il regista, David Lynch, aveva fornito al quotidiano una lista di dieci indizi in forma di domanda, ciascuno legato a un dettaglio del film a cui prestare speciale attenzione. In palio per la migliore interpretazione c’era un viaggio per due persone a Los Angeles, a visitare la vera Mulholland Drive. Questo era il terzo indizio, e la terza domanda:

Riuscite a sentire il titolo del film per cui Adam Kesher sta cercando l’attrice principale? È menzionato di nuovo?

La risposta, a un primo livello, era semplice. Il titolo è The Sylvia North Story, ed è menzionato due volte nel film. La prima, nella parte che secondo l’interpretazione dominante corrisponde al sogno di Betty/Diane, quando un macchinista annuncia “The Sylvia North Story, Camilla Rhodes, take one”; la seconda, nella parte finale, per bocca della stessa Diane: siamo al ricevimento in casa del regista Adam Kesher, e veniamo a sapere che è proprio sul set di The Sylvia North Story che Diane ha conosciuto Camilla; Diane sognava di fare la protagonista, ma il ruolo è andato all’amante/rivale.

Semplice sì, ma per modo di dire, perché tutto stava a capire che cosa diavolo fosse The Sylvia North Story, e perché fosse così importante per la comprensione del film. La comunità degli interpreti ha brancolato a lungo nel buio. Non esiste un film con quel titolo, e neppure un personaggio con quel nome in qualche altro film. In mancanza di meglio, c’è chi ha fatto riferimento a un film del 1965, Sylvia, la cui protagonista si chiama Sylvia West, e che per alcuni aspetti sembra richiamare Mulholland Dr.; e c’è chi si è lanciato in più arzigogolate (ma affascinanti) letture mitologiche, associando etimologicamente il nome Sylvia alle foreste, e speculando sul legame tra la dea Diana e Camilla, la vergine guerriera.

Dopo anni di ricerche a tempo perso, credo di aver trovato finalmente la chiave dell’enigma. È in un racconto pubblicato nel luglio del 1923 sulla rivista americana Munsey’s Magazine (dove peraltro pochi mesi prima, a febbraio, era uscito il racconto Spurs di Tod Robbins, a cui Tod Browning si sarebbe ispirato per Freaks). Lo ha scritto un certo Jack Whitman e si intitola The Irony of Fake, l’ironia del falso, gioco di parole su The Irony of Fate, l’ironia del destino. Credo che il sottotitolo vi toglierà ogni dubbio.

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“Le avventure di Sylvia North come novizia nella metropoli del film”. Un racconto ambientato agli albori di Hollywood, di cui vale la pena riassumere la trama.

Sylvia North è una ragazza di provincia che fa la dattilografa in uno studio legale, e tra una lettera e l’altra passa il suo tempo leggendo bestseller, spettegolando e sognando il principe azzurro. Un fotografo itinerante, che in passato era stato un cineoperatore di bassissimo rango, tenta di adularla dicendole che ha una “faccia da cinema”, e la convince a posare per una serie di ritratti. Sylvia, speranzosa, parte alla volta di Hollywood. “L’arrivo di un’ingenua giovane forestiera in una città sconosciuta è sempre un po’ deludente”. Ma presto le case, le automobili, le ragazze, i loro vestiti, tutto comincia a corrispondere all’immagine che Sylvia si era formata sui romanzi e sui film. La sua attenzione è attratta da un uomo vestito da cowboy, con la camicia di flanella, gli stivali e il sombrero. Quando l’uomo le si siede accanto Sylvia lo riconosce, lo ha visto decine di volte: “Quei begli occhi scuri l’avevano scrutata attraverso la magica lente della macchina da presa”. Sylvia e il cowboy non si parlano, ma è da lui che sente menzionare il direttore del cast Bill Trimble, che è in cerca dell’attrice protagonista per un western. Sylvia si fa bella e con i suoi fotoritratti sotto braccio va da Trimble, che però non la degna di uno sguardo. Riceverà altri rifiuti. La sua ultima speranza è Jerry Carr, il divo del western che aveva incontrato per caso. Sylvia non sa recitare né cavalcare, ma pensa che in fondo neppure Sally Urban – l’attrice principale nei film di Carr, che ora è diventata una star – sapeva fare granché. “A dire il vero, Sylvia maturò una vigorosa antipatia per la sua rivale di celluloide”. La ragazza si procura una tenuta da “Western girl” e decide di esercitarsi con il cavallo. Fortuna vuole che si trovi proprio nel maneggio dove c’è il cavallo bianco destinato alla futura coprotagonista del film di Carr. Questi ovviamente si accorge di lei, ne resta ammirato e le propone di fare un provino. Un mese dopo Sylvia, scritturata, deve girare una scena in cui si troverà in mezzo a una fuga precipitosa di bestiame. Riesce a cavarsela bene, ma la vista delle mandrie in corsa la getta nel panico, e sviene. Quando si risveglia, è convinta di trovarsi ancora a terra tra gli animali inferociti, ma è nel letto, mentre Jerry Carr la assiste e la rassicura. Sylvia confessa di avergli mentito: non è una vera “Western girl”. L’attore svela a sua volta il proprio bluff: è nato e cresciuto a Brooklyn, ed è facendo film western che ha imparato a cavalcare, sparare e usare il lazo.

Il racconto è piuttosto insignificante in sé, ma già a una prima lettura rivela molti elementi che torneranno in Mulholland Dr. (li elenco alla rinfusa, perché mi serve ancora del tempo per rifletterci, e perché conto di scriverci qualcosa di più serio). La ragazza di belle speranze che arriva a Hollywood. Il cowboy. I fotoritratti. La scelta dell’attrice protagonista per un film (con effetti vertiginosi di mise en abyme: il casting per The Sylvia North Story riguarda dunque un film che racconta la storia del casting per un film). La rivalità tra due donne per ottenere una parte. Il successo ottenuto per vie fiabesche, catturando l’attenzione di un divo e principe azzurro. Il risveglio.

Ora, tenete a mente tutto questo e ripensate al sogno di Diane/Betty, dove il regista sembra innamorarsi di lei a prima vista mentre fa i provini per The Sylvia North Story, ma è costretto a scartarla per via di un oscuro ordine ricevuto da un cowboy. Ecco, forse la scoperta del raccontino di Jack Whitman non aggiunge molto a quel che già sapevate del film; ma quando quel titolo risuonerà la seconda volta, dopo il risveglio di Diane, ne sentirete più a fondo la crudele ironia. The Irony of Fake.

Schermata 2014-01-17 a 23.25.15

 

Written by Guido

gennaio 18, 2014 a 2:43 am

5 Risposte

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  1. L’ha ribloggato su BABAJI.

    driuorno

    gennaio 18, 2014 at 9:52 am

  2. Magnifica ricostruzione. Aggiungo (ma è una consonanza, non una fonte di Lynch) che anche Mario Soldati, in “24 ore in uno studio cinematografico”, uscito sotto pseudonimo nel 1935, racconta la storia di un’ipotetica Sylvia North italiana, soffermandosi sull’atmosfera alchemica del set abbandonato. Ma il legame tra magia e cinema è un topos classico, del resto.

    Alessandro Zaccuri

    gennaio 18, 2014 at 10:10 am

  3. Complimenti per la ricerca! Davvero molto interessante!
    Volevo chiederti una cosa: sai se per caso questa storia, “The Irony of Fake” è stata pubblicata solo all’interno della rivista, oppure anche in altra forma?
    Ho provato a cercare in rete delle informazioni, ma trovo solo link relativi alla rivista.
    Grazie

    Massimiliano

    gennaio 18, 2014 at 1:06 PM

  4. Wow complimenti! Ho letto con molto interesse. Ero convinto che gli indizi/domande di Lynch su Mulholland Drive fossero un modo per prendere in giro critica e pubblico… e invece, questo coincide benissimo!

    melvinbgoode

    gennaio 19, 2014 at 3:17 PM

  5. Exciting stuff!!

    fununanapar

    settembre 16, 2014 at 7:52 PM


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