Guido Vitiello

Come mi liberai della decrescita

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Lord-of-the-Flies-1_218275kNeppure avevo fatto in tempo a crescere che già mi ero liberato della decrescita e delle sue mitologie. Avrò avuto sì e no sette anni, e davanti al cancello di una casa di villeggiatura avevo allestito un banchetto di giornalini usati. Il tipico mercatino dei bambini al mare, solo che io non vendevo nulla: i fumetti li prestavo, confidando che si creasse un circolo virtuoso di reciprocità nella gratuità, che la taccagneria mercantile facesse posto a una condivisione giocosa e conviviale delle ricchezze naturali dell’edicola, Topolino bene comune, e tante altre nobili cose che all’epoca, non sapendo ancora parlare come Serge Latouche, avrò senz’altro espresso in modi più sempliciotti. A farla breve, in meno di due ore ero stato saccheggiato da orde di bambini avidi, non ho mai avuto indietro nessuno dei miei fumetti e meno male che le vacanze stavano per finire, o la faccenda avrebbe preso una pericolosa piega da Signore delle mosche e quei piccoli selvaggi mi avrebbero arrostito ritualmente nel falò di Ferragosto. Tramonto di un sogno imprenditoriale, fine del mio modello alternativo di sviluppo, nascita di un piccolo hobbesiano.

Vedete bene che, con un’infanzia come questa, non posso che sorridere quando leggo che i più ispirati cantori della decrescita, nel rimpianto di un mondo non ancora contagiato dal capitalismo, vagheggiano lo stile di vita delle comunità di cacciatori-raccoglitori del Paleolitico. A queste fregole preistoriche Luca Simonetti dedica un capitolo di Contro la decrescita (Longanesi), libro che sta tra il pamphlet e il saggio di storia delle idee, alla maniera di Paolo Rossi. Ma i “decrescenti”, come Simonetti li chiama, coltivano anche nostalgie un po’ più vicine. C’è chi idoleggia il Medioevo, chi si spinge fino al Settecento, chi pensa che il mondo si sia guastato irrimediabilmente solo da qualche decennio. Tutto sta a capire quand’è che la società dei consumi ha tracimato, quand’è che abbiamo perso di vista il necessario per inseguire bisogni artificiali suscitati dalle sirene pubblicitarie, fermo restando che per i chierici della decrescita i consumi superflui sono di solito i consumi degli altri, di quelli che non gli piacciono. In Italia, pare, il morbo si è sprigionato con il boom economico per poi dilagare negli anni Ottanta (la nuova collana di Jaca Book diretta da Latouche, “I precursori della decrescita”, dedica gli ultimi titoli a Berlinguer e Pasolini).

Visitando le stanze di questo museo di storia naturale del pensiero politico mummificato, Simonetti ha per guida la nozione marxiana dell’ideologia come “falsa coscienza”, che già aveva adottato in un bel pamphlet su Slow Food (Mangi chi può). Le teorie della decrescita gli appaiono come chimere sentimentali, funzionali ad occultare i rapporti reali e i meccanismi della produzione. In compenso, il miraggio di un ritorno alla sobrietà, alla frugalità conviviale e ai ritmi lenti della natura svolge egregiamente le sue funzioni narcisistiche: lenisce il senso di colpa dell’occidentale che ha mangiato troppo, e porta a foggiarsi una falsa immagine del proprio posto nel sistema, nutrendo l’illusione che sia possibile chiamarsene fuori con poco sforzo. Ne deriva che, messe in pratica, queste idee prendono spesso la forma di una secessione, di un’uscita individuale dall’inferno consumistico, scelta ininfluente gabellata per rivoluzionaria: si chiama downshifting, e può variare da qualche misura di austerità a più drastiche scelte neomonastiche o autarchiche.

La critica di Simonetti è ideologica ed economica, ma in fin dei conti basterebbe l’estetica. Perché la “falsa coscienza” ha in letteratura l’altro nome di bovarismo, e una delle forme tipiche del bovarismo contemporaneo – cito Matteo Marchesini – è “l’ethos compiaciuto di quelli a cui basta spegnere la tivù e delibare De André in un casale ristrutturato per credere che lì la ‘volgarità anni Ottanta’ non li possa toccare”. Prima che giusto o sbagliato, è tutto così kitsch, è l’idillio pastorale in cui specchiare un io colpevole. Si allestisce una piccola arcadia, et in Arcadia ego.

Articolo uscito sul Foglio il 13 dicembre 2014 con il titolo Morbo benecomunista

Written by Guido

dicembre 14, 2014 a 12:50 PM

9 Risposte

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  1. “l’ethos compiaciuto di quelli a cui basta spegnere la tivù e delibare De André in un casale ristrutturato per credere che lì la ‘volgarità anni Ottanta’ non li possa toccare”…
    Perfetto

    Opabinia

    dicembre 16, 2014 at 10:47 am

  2. In ogni caso non c’è via di uscita: se proprio bisogna rimpiangere il passato, rimpiangiamo il paleolitico, malediciamo il passaggio dallo stato di cacciatori-raccoglitori a quello di agricoltori e, con esso, la civiltà in toto. Probabilmente l’abbandono dello stato di natura è quell’evento che la Bibbia indica con il termine di “peccato originale” e al quale le tradizioni greco romane alludono quando parlano della decadenza che ha portato dall’età dell’oro a quella del ferro. Il fatto che degli intellettuali di sinistra detestino la civiltà industriale al punto di rimpiangere la civiltà agraria, intrinsecamente schiavista e caratterizzata da una durata media della vita inferiore a quella dei cacciatori-raccoglitori, è cosa che mi lascia sconcertato.

    Opabinia

    dicembre 16, 2014 at 10:58 am

  3. Applausi scroscianti per ” Tramonto di un sogno imprenditoriale, fine del mio modello alternativo di sviluppo, nascita di un piccolo hobbesiano”.

    Per il resto, per quanto tutto molto ben scritto e persuasivamente, vedo solo una ruffiana agilità difensiva del sistema corrente, che fa un po’ orrore.

    quasiscrive

    dicembre 16, 2014 at 11:38 am

    • Non so dove la vedi, immagino tra le righe, perché non c’è rapporto tra accusare la grossolanità dei teorici della decrescita e difendere il “sistema corrente”, qualunque cosa sia.

      unpopperuno

      dicembre 16, 2014 at 11:57 am

      • Il sistema corrente, opposto ai sostenitori della decrescita che sarebbe fondata sull’oggettiva limitatezza delle risorse disponibili, è il capitalismo finanziario che, implicando crescente concentrazione di capitali, tende a creare profitto speculativo per pochi e impoverimento materiale per molti. Ne vedo la difesa nell’accusa di grossolanità dei teorici della decrescita e nella celebrata fondatezza argomentativa del libro di Luca Simonetti. Inde, ratio.

        quasiscrive

        dicembre 18, 2014 at 11:40 am

  4. Sono tue deduzioni di lettore, ma non c’è nulla di tutto questo nelle mie parole. Anzi, lo stesso Simonetti si lamenta, in coda al libro, del fatto che i teorici della decrescita, con la loro pochezza, offuschino il dibattito su temi che pur meritano di essere affrontati. Stavolta usi una logica un po’ lasca e pregiudiziosa.

    unpopperuno

    dicembre 18, 2014 at 11:44 am

  5. Apprezzo molto la tua schietta garbatezza nel reagire a una critica. Si sente e capisce che non è maniera ma verità. Non è proprio da tutti ed è precisamente per questo che ogni tanto faccio capolino qui. Vorrei con l’occasione dire che nel tuo circolo intellettuale c’è chi ha fatto con me in passato esattamente il contrario… sed nolo bellum! Domando, tuttavia: cosa c’è di lasco e pregiudizioso nel dedurre il tuo pensiero da come articoli e disponi i concetti senza preoccuparti di chiarirli, pena il rischio di doverne far discendere solo conseguenze necessarie? In altre parole: se i teorici della decrescita sono dei poveri bischeri, è tanto illogico (far) ritenere per riflesso (in)condizionato che i teorici della crescita, chiamiamoli così, sono dei cinici realisti?

    Se alla mancanza di reale dibattito sul sistema capitalista contribuisce – secondo il passo di Simonetti, a cui solo adesso fai riferimento – la pochezza dei teorici della decrescita, allora è ragionevole sospettare che si sia trattato della splendida intelligenza di chi sostiene un punto di vista senza esplicitarne la necessaria premessa, vale a dire che chi difende la crescita è più serio di chi sostiene il suo opposto. Dinamica, questa, con cui il piacionissimo giornalismo italico ci riempie ogni giorno di lenzuolate molto lontane dal parare i colpi dei fatti e molto vicine a parare il fondoschiena di chi paga lo stipendio. Questi benedetti teorici della decrescita!

    Siccome non sono certo cattivi ma giusto un po’ dei cialtroni confusi e tesi fra la nostalgia del Settecento pre-industriale e il Medioevo, è ben logico intravedere nella leggiadria satirica e puntuale delle tue parole la disposizione – magari pure incondizionata – .a difendere preventivamente l’attuale capitalismo. Del resto, se i suoi critici ora più presenti sui media, sono così facilmente derisibili, cosa mai può pensarne un lettore che si fida delle tue parole?

    E poi, ethos ed estetica… vuoi seriamente negare che nello scrivere “Prima che giusto o sbagliato, è tutto così kitsch, è l’idillio pastorale in cui specchiare un io colpevole. Si allestisce una piccola arcadia, et in Arcadia ego”, più che citare Alfesibeo Cario hai stilettato le natiche degli accigliati lettori di Micromega?

    Oh, ma guarda che si capisce, eh…

    Scusami per la lunghezza. E ciao nè, come diceva Banfi Lino.

    quasiscrive

    dicembre 18, 2014 at 11:00 PM

  6. “l’ethos compiaciuto di quelli a cui basta spegnere la tivù e delibare De André in un casale ristrutturato per credere che lì la ‘volgarità anni Ottanta’ non li possa toccare”…Quanti ne conosco…

    ilradicchioavvelenato

    dicembre 29, 2014 at 4:28 am

  7. […] E infine, per chiudere con una riflessione altrettanto presente (nel senso dell’autentico tempo «presente»), ho letto in questi giorni un acuto saggio (forse proprio un pamphlet) di Luca Simonetti, che (dichiaro subito il mio conflitto di interessi) ho anche avuto il piacere di conoscere qualche sera fa. Il suo libro si intitola Contro la decrescita ed è uscito circa un anno fa. È una riflessione documentata e interessante, che vuole spazzare via molti dei luoghi comuni su cui fondiamo le discussioni antropologiche «da bar» cui troppo spesso amiamo indulgere («ah, i bei tempi! come erano buone le fragole di una volta…! come si viveva bene fino a trenta o a cento anni fa! come sarebbe bello far ritorno alla natura…!») e lo fa con uno stile asciutto e gradevole. La descrizione più efficace è forse quella che ne dà Guido Vitiello, cui volentieri vi rimando: […]


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