Guido Vitiello

Oblomov in Sicilia (La Controra, 11)

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Schermata 2015-07-27 a 15.47.25“Il meriggio è afoso; nel cielo non c’è neppure una nuvoletta. Il sole sta immobile proprio sulla testa e brucia l’erba. L’aria è stagnante, senza un soffio di vento. Non si muovono gli alberi, non si increspa l’acqua; sul villaggio e sui campi si stende una calma assoluta: come se tutto fosse morto. La voce umana nel vuoto risuona forte e lontana. A qualche decina di metri di distanza si sente volare e ronzare uno scarabeo, e nell’erba folta si sente ronfare, come se qualcuno vi si sia sdraiato e dorma di un dolce sonno. Anche nella casa regna una calma di morte. È giunta l’ora del sonno generale del dopopranzo”. Tutto il nostro orgoglio di meridionali se ne va in malora quando scopriamo che la descrizione perfetta della controra si trova in un romanzo russo, e che il villaggio evocato non si trova in Campania o in Basilicata ma si chiama Verchlëvo. È il sogno di Oblomov, una delle pagine più note e commentate del libro di Ivan Gončarov. Se ne può ricavare che la controra è una condizione universale, che attecchisce sotto tutti i cieli e tutti i climi, e in fin dei conti questo è un bel colpo anche per l’orgoglio dei russi. Fin dai tempi di Dobroljubov, e del suo saggio Che cos’è l’oblomovismo (1859), si sono sforzati di vedere nell’accidioso eroe di Gončarov, figura mitologica metà uomo e metà divano, un concentrato dello spirito russo, il simbolo di un’aristocrazia inerte e abulica destinata a esser spazzata via dalla Rivoluzione. “La realtà è che questo personaggio costituisce un nostro tipo fondamentale, nazionale”, scriveva il progressista Dobroljubov, citando personaggi di Puskin, di Turgenev, di Gogol. E cosa sono costretti a scoprire, gli oblomovisti di Pietroburgo? Di far parte di una famiglia allargata che si estende al meridione d’Italia, specialmente alla Sicilia, una famiglia letteraria che ha patriarchi imponenti come Tomasi di Lampedusa e figli minori come il Romualdo Romano di Scirocco, e che trova il suo esemplare più puro in Vitaliano Brancati.

Leggevo qualche giorno fa Gli anni perduti, il primo romanzo brancatiano di Brancati, scritto negli anni Trenta, che è un manifesto dell’oblomovismo siciliano. È la storia di tre giovani amici incagliati nell’immobile Natàca, quasi un anagramma di Catania, “un mortaio dove si pesta e ripesta inutilmente la vita”. Il ritratto di uno di loro, Giovanni Luisi, “che stima lo sbadiglio più utile del respiro”, così comincia: “Nei lunghi pomeriggi, sdraiato sul letto e avvolto nello scialle, mentre il libro russo, ch’egli reggeva con la mano, sporta a metà fuori dello scialle come una zampetta, insegnava che la vita è un imbroglio abbastanza serio…”. Di questo libro non si fa il titolo, ma mi piace pensare che sia Oblomov. E mi viene la tentazione di affiancare al vecchio saggio di Dobroljubov un saggio nuovo, che potrebbe chiamarsi “Che cos’è la controra”. Senz’altro vi si potranno svolgere considerazioni sul clima, l’estrazione sociale, il carattere, l’educazione, insomma su tutto quel che favorisce il nascere di questa attitudine interiore; ma si dovrà contemplarla, infine, come una visione delle cose in sé compiuta, non come il riflesso dei fattori che l’hanno prodotta. È un modo di stare al mondo che discende dal proposito vano e cocciuto di disfare la vita, a ritroso; un esperimento di quotidiana “decreazione”; un’impuntatura che avversa il tempo e la storia, l’affaccendarsi degli uomini e il concatenarsi dei casi, covando in ultimo un dispetto per l’esser nati, quasi che l’esistenza fosse una strada sterrata imboccata per errore; un buddismo svogliato e senza ascesi, e tuttavia non molle: ruvidissimo. Il sonno in cui cade somiglia alla morte simulata dell’opossum per scampare al predatore, che è poi la vita stessa. “Ho pensato di poterti animare, che tu avresti potuto vivere per me, e tu sei già morto da tanto”, dice Olga ad Oblomov quando intuisce la sua natura e decide di separarsi da lui. L’impresa era perduta prima ancora di esser tentata. A queste parole terribili ripensavo leggendo il romanzo di Brancati, nel momento beffardo in cui i tre giovani, che avevano trovato una ragione di vita, una nuova speranza nel progetto di costruire una torre panoramica a Natàca, scoprono, quando la torre è ormai innalzata, che un ordine del Municipio ne impedisce l’apertura; e che quest’ordine, vecchio di quattordici anni, precedeva di molto il giorno in cui si sono gettati nell’impresa: “Sotto un fascio di registri si nasconde un foglietto giallo, cinque paroline, una legge inviolabile, qualcosa che, apparendo all’ultimo momento, ci dice che il nostro lavoro è stato un errore, che noi abbiamo lavorato in una direzione vietata e sbagliata”.

Davanti alla porta della Legge, l’uomo di campagna può tranquillamente addormentarsi, senza cadere nel tranello messianico di Kafka; tutt’al più, alla controra, chiederà al Guardiano di lasciargli uno spiraglio, un refolo per assopirsi meglio.

17 settembre 2014 – FINE

Written by Guido

agosto 30, 2015 a 9:00 am

Pubblicato su Controra, Il Foglio

2 Risposte

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  1. Purtroppo tale meraviglia è antitetica alla società capitalistica dove bisogna lavorare e giammai dedicarsi alle delizie vane ed improduttive della controra. Facendo io un lavoro sfigato e sfiancante, insegnante e per di più di filosofia, il pomeriggio mi metto a letto come Oblomov e faccio spuntare dalla coperta gli aguzzi profili di
    … Un libro!!!

    melograno19

    agosto 31, 2015 at 10:00 am

    • antitetica anche al cristianesimo. consonante invece con certo buddismo.

      leonardo ceppa

      agosto 31, 2015 at 11:34 am


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