Il tenero Walter… vi rimanda nell’ultima pagina
Cose che ho capito leggendo Ciao, il libro di Walter Veltroni sul papà. Ho capito, anzitutto, di essere un sicario intellettuale. Prima o poi qualcuno mi consegnerà la chiave di una cassetta di sicurezza, dentro ci sarà una busta anonima con la foto del bersaglio da eliminare, e a missione compiuta dovrò farci sopra una croce col pennarello nero e riscuotere il prezzo dell’ingaggio. Da alcuni giorni personaggi insospettabili mi si avvicinano con aria grave, quasi compunta, mi prendono a parte e mi dicono: “Fa’ qualcosa tu, Il Foglio è l’ultima speranza; qui da noi siamo costretti a parlarne bene”. Confesso, la canagliesca impresa mi allettava, e lo Sciacallo del film di Fred Zinnemann sull’attentato a De Gaulle è uno dei miei eroi segreti. Il bersaglio, oltretutto, non era dei più difficili, c’era materia per impallinarlo ben prima dell’incipit, bastava girare il frontespizio e leggere in basso a sinistra: “La citazione di p. 16 e p. 17 è tratta da Empirismo eretico, Pier Paolo Pasolini, Garzanti 1972. Le citazioni di p. 185 e p. 188 sono tratte da La versione di Mike, Mike e Nicolò Bongiorno, Mondadori 2007”. Pasolini e Mike affiancati con sovrana noncuranza, mentre ci mandano la loro benedizione dai cieli della nostalgia: nel colophon c’era l’essenza del veltronismo.
Ho capito che Ciao segna la svolta iperrealista e autoparodistica di Veltroni, che si trasforma da solo in copia di Veltroni a grandezza naturale, come le statue di Duane Hanson. Ho capito che i libri di Veltroni vanno letti immaginando nella testa la voce di Corrado Guzzanti, e allora diventano bellissimi. E ho capito che da alcune scenette raccontate nel romanzo, debitamente illustrate, si potrebbe ricavare una magnifica striscia a fumetti, vagamente ispirata al tenero Giacomo della Settimana Enigmistica. Il giovane Veltroni che al Brancaccio ascolta Herbert Marcuse ma non capisce nulla, ed è più contento quando nello stesso teatro suonano i Jethro Tull. Il giovane Veltroni che prova a leggere Lenin, non capisce nulla nemmeno di quello e passa ai fumetti dell’agente segreto Billy Bis. Veltroni bambino che gioca a pallone e accanto al campetto vede passare Aldo Moro, e non immagina che il suo amico centrocampista riccetto sarà nel commando di via Fani quando l’Italia perderà l’innocenza (la deflorazione storica è uno dei grandi assilli del veltronismo). Veltroni bambino che vede gli alunni della scuola tedesca ed è sconvolto al pensiero che quei biondini “con i quali mi capitava di comprare il Ciocorì al bar, fossero gli eredi di tanta umana perfidia”. Chi altro potrebbe, in un giro di frase, tenere insieme Adolf Eichmann e le barrette di riso soffiato? E perché, a pensarci, i pargoli ariani non preferivano il Biancorì? Ma anche altre cose ho capito. Ho capito che una cosa sono i libri di Veltroni, una cosa sono le recensioni ai libri di Veltroni, e che tra i primi e le seconde non c’è rapporto apprezzabile. Ciao è il romanzo di un eterno adolescente che denuncia una società fatta di eterni adolescenti e inspiegabilmente li invidia, è l’opera di un fanciullino di Pascoli ibridato con Forrest Gump, le sue rievocazioni prendono spesso la forma dell’“autoritratto (o selfie) con personaggio celebre”. Ma nelle recensioni si svolge tutt’altro e pensoso rito, si parla di memoria, di fascismo, di ideologie, di padri, e soprattutto di generazioni. Anche questo ho capito, che ogni scaglione anagrafico ha diritto al suo gruppo di self-help masochistico, i trentenni riluttanti di Accorsi (“Siamo fuori tempo massimo”), i quarantenni flagellanti di Moretti (“Anche gli Optalidon non sono più gli stessi”), i cinquantenni terrazzati di Sorrentino (“Siamo tutti sull’orlo della disperazione”), e ora i sessantenni benevolenti di Veltroni.
E un’ultima cosa ho capito. Ho appreso che Veltroni e io siamo andati per anni dallo stesso barbiere a via Isonzo, gentiluomo e garantista. E anche se Walter si faceva fare la riga e io no, nessuno potrà mai chiedermi di impallinare un compagno di figaro. Il giorno dello Sciacallo è rimandato.
Articolo uscito sul Foglio il 24 ottobre 2015 con il titolo Peggio dell’autoparodistico “Ciao” di Veltroni ci sono solo le sue recensioni
Rispondi