Posts Tagged ‘Walter Veltroni’
La fabbrica dei divi politici
Scacciare in malo modo tutti i demoni, da bravo monaco del deserto, ma lasciare aperto uno spiraglio per quello che Mallarmé chiamava il demone dell’analogia, l’unico da cui si possa ottenere qualche buon favore. Come precetto religioso non vale granché, ma usato con giudizio dà i suoi frutti. Rivedendo giorni fa A Star is Born, la versione del 1937 di un film rifatto più volte nei decenni successivi, c’era una scena che continuava a ricordarmi insistentemente qualcos’altro, ma che cosa? La scena è quella in cui Janet Gaynor, nel ruolo di una ragazza di campagna che tenta la fortuna a Hollywood, è circondata da esperti degli studios in camice bianco che le disegnano sopracciglia di ogni foggia, le allargano la bocca per studiare le potenzialità del suo sorriso, la cospargono di ciprie e di rossetti. Ha l’aria di un piccolo martirio, di un pigmalionismo da laboratorio, ma d’altronde nella Hollywood degli anni d’oro la trasformazione della donna in diva era un processo ascetico e crudele, degno di un racconto di Wedekind, o – come ha suggerito Jeanine Basinger in un bel libro che ne descrive le tappe, The Star Machine – di un mercato delle schiave arabo del decimo secolo. Leggi il seguito di questo post »
Il tenero Walter… vi rimanda nell’ultima pagina
Cose che ho capito leggendo Ciao, il libro di Walter Veltroni sul papà. Ho capito, anzitutto, di essere un sicario intellettuale. Prima o poi qualcuno mi consegnerà la chiave di una cassetta di sicurezza, dentro ci sarà una busta anonima con la foto del bersaglio da eliminare, e a missione compiuta dovrò farci sopra una croce col pennarello nero e riscuotere il prezzo dell’ingaggio. Da alcuni giorni personaggi insospettabili mi si avvicinano con aria grave, quasi compunta, mi prendono a parte e mi dicono: “Fa’ qualcosa tu, Il Foglio è l’ultima speranza; qui da noi siamo costretti a parlarne bene”. Confesso, la canagliesca impresa mi allettava, e lo Sciacallo del film di Fred Zinnemann sull’attentato a De Gaulle è uno dei miei eroi segreti. Il bersaglio, oltretutto, non era dei più difficili, c’era materia per impallinarlo ben prima dell’incipit, bastava girare il frontespizio e leggere in basso a sinistra: “La citazione di p. 16 e p. 17 è tratta da Empirismo eretico, Pier Paolo Pasolini, Garzanti 1972. Le citazioni di p. 185 e p. 188 sono tratte da La versione di Mike, Mike e Nicolò Bongiorno, Mondadori 2007”. Pasolini e Mike affiancati con sovrana noncuranza, mentre ci mandano la loro benedizione dai cieli della nostalgia: nel colophon c’era l’essenza del veltronismo. Leggi il seguito di questo post »
…E poi non ne rimase nessuno. L’estinzione dei garantisti
Con un acquario si può fare una zuppa di pesce, più difficile è trasformare una zuppa di pesce in un acquario. La battuta che circolava ai tempi del crollo del Muro, a sottolineare l’irriversibilità dei disastri fatti dal comunismo, si presta bene anche ai danni di un ventennio di intossicazione forcaiola. Da più parti si è detto, in questi giorni, che il nuovo gruppo dirigente renziano deve dotarsi di una cultura garantista, e che tra le intemperanze corporative dell’Anm e le inchieste sul Pd emiliano tutti i nodi del rapporto politica-giustizia stanno venendo al pettine. Era ora, verrebbe da dire; se non fosse che, per citare Sciascia, manca il pettine. E se il pettine manca, è perché c’è chi si è messo d’impegno a staccarne uno dopo l’altro tutti i denti. La metafora che ricorre più spesso è un’altra, quella della “mutazione genetica”: la sinistra avrebbe smarrito l’ispirazione garantista trasformandosi in una cinghia di trasmissione della magistratura associata, o in una tifoseria dei pubblici ministeri; dal che si deduce che per tornare dal signor Hyde al dottor Jekyll basta aspettare che la pozione magica cessi il suo effetto. Ma è una metafora inesatta, compiacente e segretamente revisionista. Leggi il seguito di questo post »
Gli Happy Days di Berlinguer. Sul vintage politico (e su Renzi)
La nostalgia di Berlinguer non è cosa nuova a sinistra, ma aveva raggiunto livelli di guardia all’ombra incombente delle primarie e chissà che non si rinfocoli per il trentennale della morte, l’11 giugno 2014, ora che per alcuni si è aggiunto un altro lutto da elaborare. Lo spettro benevolo e ammonitore del Segretario si aggira un po’ ovunque di questi tempi, non solo nelle invocazioni di Gianni Cuperlo, sfortunato custode della nicchia dei Lari di partito, o nelle memorie d’infanzia di Giuseppe Civati, che alla morte di Berlinguer lega il proprio battesimo politico. Aleggia sul romanzo di Francesco Piccolo Il desiderio di essere come tutti, ispira il monologo teatrale di Eugenio Allegri Berlinguer. I pensieri lunghi come pure il graphic novel Arrivederci, Berlinguer di Elettra Stamboulis e Gianluca Costantini. Paolo Rossi, nel suo ultimo spettacolo, dialoga con il portabandiera della “questione morale” per informarlo della miseria amorale in cui siamo precipitati, e a fine agosto, a Venezia, Mario Sesti e il musicista Teho Teardo lo avevano omaggiato con il breve film La voce di Berlinguer. Leggi il seguito di questo post »
Qualcuno non era comunista
Uno ripensa ad Achille Occhetto che si fa cacciare un tortellino in bocca da Funari, e ne conclude con un sospiro benevolente che no, a nessuno si può negare il proprio quarto d’ora di sputtanamento, la vera e agognata apoteosi che Andy Warhol non aveva saputo prevedere. Ogni politico, intellettuale, uomo pubblico scelga dunque il rituale di degradazione che più gli si addice: il catalogo è lungo. Walter Veltroni e Fausto Bertinotti, scesi ormai dalla giostra della politica, hanno oltretutto guadagnato la divina spensieratezza del proverbiale zio pazzo, che può uscire a comprare le sigarette in mutande senza dover temere più nulla, neppure il meschino spauracchio del ridicolo. E allora, se una sera non si ha di meglio da fare, che male c’è ad andare da Fabio Fazio a recitare, assistiti da Paolo Rossi, Qualcuno era comunista, il monologo-canzone di Giorgio Gaber? Poi certo, si dirà che il problema è a monte, e che la Rai poteva pensare a qualcosa di più frizzante del format “funerali di Gallinari” per commemorare il decennale della morte di Gaber. Se proprio volevano un politico in scena, avrebbero potuto chiedere a Ignazio La Russa di rifare in diretta la sua irresistibile versione di Goganga, e almeno ci si sarebbe divertiti un po’. Ma è andata così, pazienza, e guai a noi se tornassimo a lagnarci della perversa alchimia di Fabio Fazio, che riesce magicamente a rendere detestabile ogni cosa bella, insulsa ogni cosa nobile, e che, con l’intento generoso di trasformare tutti in venerati maestri, trasforma tutti, senza scampo, in soliti stronzi. D’altro canto, il problema non è neppure Fazio: è proprio che la tv, pubblica o privata, sembra incapace di allestire una commemorazione di un personaggio popolare che non sia definibile, in senso tecnico-giuridico, come “vilipendio di cadavere” ex art. 410 c.p. Leggi il seguito di questo post »
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