Guido Vitiello

Filologi e culologi

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In un tempo che pare lontanissimo, quando la volgarità dei politici aveva ancora qualcosa di divertente, Umberto Bossi passò alla storia – non so di cosa, ma comunque alla storia – per una risposta data a Marco Pannella, che lo accusava di simpatie filoserbe: “Meglio Milosevic che Culosevic”. La battuta mi è tornata in mente giovedì sera quando mi sono ritrovato a pensare, tra me e me: meglio culologi che filologi; per poi subito correggermi, e concludere che si può essere con diletto entrambe le cose. Perdonate la bizzarria di questo incipit, ma ogni occasione richiede lo stile appropriato, e l’occasione era inequivocabilmente surrealista. Ero nei sotterranei di Altroquando, una libreria dietro Piazza Navona che per me è quasi una seconda casa, dove si presentava un libro di Alvaro Rissa, Il culo non esiste solo per andare di corpo (il melangolo). A presentarlo c’erano Alvaro Rissa e Alvaro Rissa, ma nessuno dei due era Alvaro Rissa, o forse lo erano entrambi.

Alvaro Rissa è il “poeta contemporaneo vivente” a cui, in una scena di Ecce Bombo, uno studente dedica la sua tesina di maturità; così contemporaneo e così vivente che si presenta lui stesso accanto al candidato, suo coetaneo. Il primo dei due Alvaro Rissa, l’altro ieri, era in effetti l’attore che nel film di Moretti fa la parte di Alvaro Rissa, ossia Cristiano Gentili; il secondo Alvaro Rissa era Walter Lapini, professore dell’università di Genova che ha firmato con questo pseudonimo la sua “Antologia della letteratura greca e latina per il triennio del liceo classico” tutta dedicata al culo. Dico firmato, ma bisogna capire bene che cosa ha fatto: l’ha scritta lui stesso nelle lingue antiche, rifacendo i metri e gli stili degli autori classici; l’ha tradotta imitando i vezzi di traduttori illustri come Valgimigli o Cetrangolo; ha curato l’edizione premettendo a ciascun brano note editoriali e riferimenti bibliografici. Un culologo e filologo di un’erudizione pazzesca. Già, ma come si dice pazzesco in greco?

La questione è stata uno dei punti più spinosi della Fantozziade, l’apocrifo omerico che apre l’antologia, tradotta nello stile di Rosa Calzecchi Onesti (nome che mi suonava fantozziano già a scuola: non starebbe bene accanto alla Serbelloni Mazzanti Viendalmare?). Il poema ha al centro l’episodio della Corazzata Potemkin (o Kotiomkin: ma questo è un problema filologico di secondo grado). L’autore ha spiegato che per tradurre il pazzesco di “cagata pazzesca” si poteva seguire una via più letterale e scegliere l’aggettivo manikon; ma lui per ragioni metriche ha preferito megiston, cagata somma, che gli consentiva di ricorrere allo stilema omerico della cesura centrale e dare così all’esclamazione liberatoria la dovuta solennità (nota per i secchioni: eventuali strafalcioni nelle righe precedenti si devono solo alla mia distanza ventennale dall’ultima versione di greco).

Divertente, direte voi, ma anche stucchevole: quell’umorismo professorale che è così diffuso, per non citare che due specialissime categorie di mortali, tra i normalisti più inguaribilmente nevrotici e certi goliardi bolognesi. E invece no, niente di tutto questo, e neppure uno di quei divertimenti licenziosi che dalle varie Culeidi settecentesche arrivano all’Elogio del culo, il dialoghetto platonico di Tinto Brass. Che cos’è allora? Non lo so, ma mi piace da morire. Rissa/Lapini detesta la goliardia. Ed era serissimo quando ha detto – e io quasi avevo le lacrime per la gratitudine – che in tutta la “prosopografia cinematografica” (proprio così, con la nonchalance con cui altri direbbero: tra tutti i personaggi dei film) Fantozzi è il più adatto a essere trasformato in eroe epico, perché il suo tratto dominante è la dismisura. Oltretutto ha anche il suo epiteto bell’e fatto, come Achille piè veloce o Ettore domatore di cavalli; e il nostro culologo e filologo gliel’ha inciso sulla lapide in coda al poema, con la perfidia di un megadirettore, per consegnarlo all’eternità: Fantozzos o kopron enthade keitai, qui giace Fantozzi, la Merdaccia.

Articolo uscito sul Foglio il 13 febbraio 2016 con il titolo Come si dice in greco “una cagata pazzesca”? Uno studio serissimo

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