Politicamente col retto
Viviamo sotto la dittatura del politicamente col retto. Chi verrà dopo di noi (“Ai posteriori l’ardua sentenza”, diceva Tinto Brass nell’ormai rarissimo libello Elogio del culo) vedrà la nostra disgraziata stagione come un fazzoletto d’anni racchiuso tra il momento in cui un comico ci ha mandati tutti affanculo e il momento in cui ci siamo andati davvero, fischiettando. La scienza politica, che sarà a quel punto diventata un ramo della proctologia, dovrà constatare che alla fase aurorale rabelaisiana-swiftiana di Grillo, che usava ossessivamente metafore sodomitiche ed escrementizie per scardinare l’ordine esistente, è seguita una fase più matura, o classica se volete, in cui i rivoluzionari vittoriosi hanno edificato sulle fondamenta del fondoschiena la loro città.
Sono incappato giorni fa nell’intervento di Silvana De Mari, la proctologa e scrittrice cattolicissima che collabora con gli ultrà salviniani de La Verità, a un convegno organizzato a gennaio da un settimanale di estrema destra, Il Pensiero forte. Mentirei se dicessi che mi aspettavo le eleganze dialettiche di Carlo Augusto Viano contro i flebili discepoli di Gianni Vattimo, ma comunque non ero preparato a quel che mi è toccato sentire: mezz’ora di considerazioni minuziosamente endoscopiche sul sesso anale, le iniziazioni sataniche, la circonferenza dello sfintere e del pene, il fisting, il prolasso, la lacerazione delle mucose, le ragadi, l’incontinenza fecale. A metà intervento l’ipocondriaco che sonnecchia in me avvertiva già i primi sintomi di epatite A, ma dopo aver appurato allo specchio che non ero ancora del tutto giallo ho capito che avevo appena avuto il privilegio di una piccola rivelazione. Non so se abbiate mai visto un intervento pubblico di Silvana De Mari. La sua postura di compiaciuta baldanza, quell’aria da professoressa di liceo che gode nel farsi detestare dagli scolari, la tecnica oratoria fatta di esempi barzellettistici da cui trarre implicazioni logicamente abusive, la gongolante ottusità nel dire cose abominevoli, l’abitudine di sfrondare l’intricatezza dell’esperienza umana con il machete di qualche sarcasmo curiale, tutto questo ha un nome e un cognome: Piercamillo Davigo. Possiamo dire, anticipando la proctopolitica dell’avvenire, che la De Mari sta al sesso come Davigo alla giustizia, Travaglio alla politica, Giordano all’immigrazione. A ben vedere, sono tutte varianti di quello che Freud in un breve saggio del 1908 aveva descritto come “carattere anale”, uno stile di personalità contrassegnato dalla mania puntigliosa dell’ordine, dall’ostinazione e da un atteggiamento quasi fobico verso la sporcizia in ogni accezione. Ma già che frugare nell’inconscio di perfetti sconosciuti è inelegante prima ancora che temerario, raccomando ai futuri studiosi del politicamente col retto il classico psicoanalitico La vita contro la morte di Norman O. Brown, specie la parte quinta – “Studi sull’analità” – dove l’ossessione per le terga è letta in una luce storico-antropologica.
L’era protestante, dice Brown, si annuncia sul gabinetto, il luogo dove Martin Lutero riceve la sua rivelazione, e da quel momento in poi scatologia ed escatologia sono indissolubili. Il mondo diventa un’immensa latrina a cielo aperto presidiata dal Diavolo, contro cui Lutero scatena le sue inesauribili ossessioni anali: gli dedica le sue evacuazioni ostili mentre prega seduto sul cesso, lo minaccia di infilarselo nell’ano o di cacargli in faccia, gli getta addosso l’inchiostro nero (fenomenologicamente, non siamo così lontani dal lancio delle feci caro agli scimpanzé). La salvezza assumerà così l’aspetto di un apocalittico sciacquone. Ecco, i nostri nuovi predicatori fissi alla fase sadico-anale, nati all’ombra dell’impresa germofobica “Mani pulite”, possono invocare la ruspa, le manette, le monetine o le milizie vandeane: lo schema soggiacente è però analogo a quello che Brown aveva riconosciuto in Lutero. Ma in un paese cattolico che ha avuto la Controriforma senza la Riforma e che ha quasi sempre preferito i confessionali ai tribunali, questa libidine di legalità, ordine e pulizia non ha nulla di potenzialmente civilizzatore, non feconda lo spirito del capitalismo, il puritanesimo industrioso o il sobrio dominio della legge. Svela solo il suo volto feroce, persecutorio, ossessivo e intimamente anarchico. Se questo è il “pensiero forte” che vogliono inculcarci, prepariamoci a stringer bene le chiappe.
Il Foglio, 2 marzo 2019
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Replica e controreplica (5 marzo)
Al direttore – Ho letto con molto divertimento l’articolo di Guido Vitiello che mi cita. Guido Vitiello riconosce che dico il vero, nota che lo dico senza grazia: concordo, la proctologia è meno affascinante del cinema. Dato l’onore della seconda pagina, credo di avere diritto ad alcune precisazioni. Prima precisazione. Non sono salviniana. Non appartengo a nessun schieramento politico. Tengo conferenze per chiunque osi ancora invitarmi. Ho dovuto rinunciare a moltissime conferenze (come Luca di Tolve e come Nausica della Valle, cui è appena stata impedita una conferenza a Biella) per le “pressioni” fatte sui proprietari dei locali dai professionisti dell’indignazione, che però diventano professionisti dell’intimidazione: le nostre conferenze devono essere protette dalla polizia. Perché noi tre siamo così pericolosi? Perché affermiamo che la cosiddetta omosessualità non è né genetica né irreversibile. Cambiare si può. Seconda precisazione. Il mio linguaggio non è da professoressa di liceo, ma da medico: è il linguaggio dogmatico (non fumate ché vi fa male, non state troppo al sole ché vi ustionate), l’unico possibile in campo medico, quando si è in possesso di verità inoppugnabile sulla genesi di danni e si voglia trasmettere l’informazione nella maniera più efficace possibile. Guido Vitiello è rimasto sconvolto guardando delle diapositive: non ha idea di cosa sia guardare una lesione vera, su una persona vera e sapere che quella lesione sarebbe stata evitabile, che è frutto di un comportamento dannoso e reversibile. Terza precisazione. “Io sto al sesso come Davigo sta alla giustizia”. Io non parlo di sesso, parlo di erotismo anale: è pericoloso come pericolosi sono fumo e tossicodipendenza. L’erotismo anale non è sesso, è la sua negazione. Il sesso si fa con gli organi sessuali, detti anche riproduttivi, non col tubo digerente, è la somma di tutti i piaceri, è un piacere sublime, grazie all’orgasmo, complesso evento neurofisiologico per il quale occorrono organi specifici che nel tubo digerente non ci sono e meno che mai nella prostata, e può portare alla nascita di bellissimi bambini e in effetti sarebbe questo il suo scopo biologico. Quello che si fa da soli si chiama autoerotismo, quello che si fa con uno che ci somiglia omoerotismo, e sono la negazione del sesso: chi li pratica se ne accontenta e rinuncia alla sessualità vera, quella dove tutti i partecipanti possono avere un vero autentico orgasmo, che, ripeto nasce solo nei veri organi sessuali (diffidate delle imitazioni), e da cui possono nascere bambini (primo scopo biologico di tutta la faccenda). Quarta precisazione: mi si accusa di essere cattolica. In effetti questo è vero, cattolica dura e pura, messa in latino e rosario, come Chesterton e Guareschi. E’ già un crimine? Concludo ringraziando il Foglio e il professor Guido Vitiello docente di cinema per la spettacolare pubblicità: persone che non mi avevano mai sentito nominare mi stanno contattando. Mi raccomandano di non mollare. Tranquilli. Non mollerò. Continuerò a dire che cambiare si può e che ne vale la pena.
Silvana De Mari
Sorvolando su qualche imprecisione nella replica di Silvana De Mari – non mi sono mai sognato di riconoscere che “dice il vero”, non ho scritto che è salviniana, non l’ho “accusata” di essere cattolica (a proposito, ma Bergoglio non era un antipapa?), l’ho semplicemente riferito, e soprattutto non ho mai visto una diapositiva di lesioni anali in vita mia né intendo cominciare oggi – sono felicissimo di averla divertita: è il piacere sublime della presa per il culo, il vero autentico orgasmo. La terza precisazione, tuttavia, è rivelatrice. Quando Giuseppe D’Avanzo scrisse che con il metodo Travaglio si poteva infangare anche Travaglio, lui in risposta cacciò fuori assegni ed estratti conto della sua famigerata vacanza in Sicilia per dimostrare che non gli era stata pagata da personaggi in odore di mafia: sia che fingesse di non capire il senso dell’obiezione di D’Avanzo, sia che non la capisse davvero, restava intrappolato nella sua ossessione questurina. Ecco, mutatis mutandis (e no, non mi riferisco al cambio di culottes), discolparsi dall’accusa di fissazione anale con una disquisizione sul tubo digerente mi sembra appartenere allo stesso circolo vizioso (nessun riferimento al circolo Mario Mieli). Anche dalle idee fisse guarire si può. E ne vale la pena.
Sublime l’articolo, sublime il botta e risposta. Complimenti 🍷
Vinicio Motta
marzo 10, 2019 at 7:45 PM