Archive for the ‘Mani bucate’ Category
Movimento Cinque Dighe
Viviamo in tempi straripanti, e Luigi Di Maio ha pensato bene di lanciare il M5D: Movimento Cinque Dighe. Siamo un argine a tutti gli estremismi, va dicendo in questi giorni di campagna elettorale. Siamo un argine alle “follie dell’ultradestra dilagante”. E siamo un argine alla nuova Tangentopoli, alla corruzione e al malaffare. Siamo anche un argine alle idee retrograde sulle donne, la famiglia e i diritti civili che la Lega non prende più neppure dai Papi ma direttamente dai popi. Come se non bastasse, poi, siamo un argine all’ipotesi di un nuovo Nazareno. E siamo un argine al Pd, che vuole alzare gli stipendi dei parlamentari. E a Orbán e Putin. E alle armi facili. E ai privilegi della casta. E all’illegalità. E al sovranismo. Le ha dette tutte, e ne ha dette anche altre. A quanti argini siamo? Ho perso il conto, ma tutto questo rassicurare mi ricorda tanto la campagna elettorale di Forlani nel 1992 – solo che il segretario democristiano ci arrivava a quasi settant’anni e dopo mezzo secolo di governo ininterrotto, mentre al giovanissimo capo politico casaleggiano è bastato un anno per ritrovarsi in mano – unica carta da giocare – la promessa che il M5S impedirà ad altri di fare questo o quello. Come prevedibile, una buona metà del nostro establishment imbelle ci casca o fa finta di cascarci. E c’è ancora chi riesce a dire, restando serio, che dobbiamo ringraziare il M5S se non abbiamo Alba dorata. Leggi il seguito di questo post »
Il mito del cadavere nell’automobile
Otto maggio, la Germania nazista si arrende agli Alleati. Nove maggio, le Brigate Rosse uccidono Aldo Moro. I due anniversari non sembrano avere alcun rapporto, se non quello – blandissimo – della contiguità sul calendario; eppure tra l’uno e l’altro, a guardar bene, è teso un impalpabile filo leggendario: il mito del cadavere nell’automobile. Ma andiamo con ordine. Tra il 1939 e il 1945 la principessa Marie Bonaparte, la paziente e amica di Sigmund Freud che si fece ambasciatrice della psicoanalisi in Francia, viaggia tra Parigi e Vichy, Atene e Alessandria, Londra e Città del Capo a caccia di quelle che oggi chiameremmo leggende metropolitane. Le raccoglie in uno strano libro, Mythes de guerre, scritto nel suo francese elegantissimo e stampato a Londra poco dopo la fine del conflitto. Il primo capitolo si intitolava, appunto, “Le mythe du cadavre dans l’auto”. Leggi il seguito di questo post »
Cavalli geniali e spettabili lampadari. L’ing. Musil e il rag. Fantozzi
Quando l’uomo senza qualità trova su un giornale l’espressione “il geniale cavallo da corsa”, capisce che lo Spirito dei tempi si è scelto come scriba un anonimo cronista, e che in Kakania l’ideale romantico del genio ha preso una strana piega. Chissà cosa avrebbe pensato Robert Musil della formula “spettabile lampadario”, cosa avrebbe intravisto in quel non meno incongruo accostamento di parole: “‘Spettabile’ è l’unica aggettivazione in uso nelle grandi aziende, nelle quali ‘spettabile’ è il Megadirettore, ‘spettabile’ è un cliente, ‘spettabile’ è la signora del collega, ‘alla quale si prega di estendere i saluti’, ‘spettabile’ è un lampadario, una penna, una scrivania eccetera”. Chissà, in altre parole, cosa avrebbe pensato Robert Musil leggendo il primo Fantozzi. Sappiamo, in compenso, cosa pensò Paolo Villaggio leggendo Musil: “Nella mia biblioteca, avevo un mattone grosso, bello, preciso, che avevo quasi deciso di non leggere prima di morire: L’uomo senza qualità di Musil, tre volumi, inquietanti ed enormi. A quarant’anni ho incominciato improvvisamente a leggerlo e sono entrato in una nuova stagione della mia vita” – la stagione in cui, calendario alla mano, cominciano a uscire per Rizzoli i libri di Fantozzi. L’intervista dell’ottobre 1975 per la Radiotelevisione svizzera dove Villaggio svela le sue fonti d’ispirazione letteraria, fino a oggi inedita in volume, l’ha appena pubblicata l’editore De Piante con il magnifico titolo Kafka? Qui siamo all’apice della piramide nevrotica. Lo raccomando alle vostre mani bucate, spettabili lettori: sono trecento copie numerate, con copertina d’artista di Ugo Nespolo (se proprio dobbiamo beccarci la quotidiana accusa di essere élite, prendiamoci almeno qualche lusso). Leggi il seguito di questo post »
Arcipelago Boldrini
Una mattina mi son svegliato e ho trovato l’invasor*. Mi raccomando l’asterisco, ché l’Ovra del gender non dorme mai, e del resto chi si sognerebbe di denigrare quella che il Gadda antimussoliniano chiamò la virile vulva della donna italiana? Abbiate anche l’accortezza di specificare che in quel confidenziale “bella ciao” gettato lì all’amata non c’è ombra di harassment, così da non scatenare le sanguinose rappresaglie dei plotoni del #metoo, almeno fino al giorno in cui ci saremo liberati dalle truppe d’occupazione del Politicamente Corretto. Quel giorno luminoso potrebbe essere un nuovo 25 aprile, come ho appreso ieri l’altro dai cinguettii di tre noti e autocertificati liberali italiani. Leggi il seguito di questo post »
L’anno del pensiero magico
Davanti a Notre-Dame in fiamme, mentre oscillavo come tutti tra due congetture – incidente o attentato? – ho trovato il tempo di compiere su di me un piccolo esercizio di introspezione, una cosa da psicologia sperimentale ottocentesca; e ne sono riemerso con l’idea che il terrorismo ha cambiato le nostre abitudini di vita meno di quanto ci piace credere, ma in compenso ha cambiato, e a fondo, le nostre abitudini mentali. La prima cosa che mi è passata per la testa, osservando quel rogo, è la reminiscenza di una pagina di Jung sul pensiero magico letta qualche tempo fa: “Per noi è naturale dire: questa casa è bruciata perché il fulmine l’ha incendiata. Per il primitivo è altrettanto naturale dire: un mago si è servito del fulmine proprio per incendiare questa casa”. E per noi abitanti del mondo dopo l’11 settembre? L’esitazione tra pensiero logico e pensiero magico è qualcosa a cui ci siamo assuefatti quasi senza accorgercene, nei grandi e nei piccoli eventi, che sia l’incendio di una cattedrale o di un autobus romano (e oscilliamo anche in quel caso tra due sigle diversamente minacciose: Isis o Atac?). Può durare un’ora, un giorno, una settimana: non sappiamo esattamente come reagire finché non arriva la rivendicazione, che è per noi nuovi primitivi la firma dello stregone che si è servito del fulmine. E può capitare in ipotesi che il mago – ora che le reti terroristiche sono strane varietà di franchising che possono decidere se consentire l’uso del loro marchio, se dare il loro patrocinio simbolico – metta la firma su un sortilegio che non ha compiuto, o su un incidente dovuto al caso. Leggi il seguito di questo post »
Se lo demonizzate, poi vince per mille anni
Posso pure dipingermi la faccia rosso fuoco, appuntarmi due vistose corna sulla testa e una coda forcuta sul coccige, farmi crescere una barba caprina, indossare eleganti calzature anch’esse caprine a zoccolo fesso, ma ci sarà sempre qualcuno più fesso del mio zoccolo pronto a dire che non è il caso di demonizzarmi, che quei tre sei sulla fronte sono uno scanzonato sberleffo postmoderno, che quegli occhi iniettati di sangue saranno un’allergia, e soprattutto che l’antisatanismo viscerale è controproducente, perché se lo demonizzi poi quello, Satana, vince per un millennio almeno. Leggi il seguito di questo post »
Tavola analitica dei liberali italiani
Sul canovaccio del Tableau analytique du cocuage di Charles Fourier, che nei primi anni dell’Ottocento classificò ottanta tipi di cornuti d’ordine semplice e composto, voglio abbozzare una tavola analitica dei liberali italiani, un catalogo sommario dei nostri vezzi e delle nostre miserie. Mi limiterò ai tipi oggi più diffusi e perniciosi, trascurando magnifiche specie in via di estinzione come il Liberale snob o pannunziano (quello che indossa ancora i calzini del conte Carandini), il Liberale matto o dannunziano (quello convinto di essere il messia annunciato dalla vox clamantis di Mario Ferrara) e, più a destra, il Liberale straborghese o steampunk (quello che, in assenza di una borghesia civilizzatrice autoctona, si traveste da gentiluomo britannico del diciannovesimo secolo). Erano le nostre casate più nobili, i nostri zii eccentrici: saranno presto le nostre tribù perdute. Leggi il seguito di questo post »
Il mistico del Dunning-Kruger
A ogni apocalisse la sua colonna sonora. Il tenente colonnello Kilgore bombardava villaggi vietcong diffondendo Wagner dagli altoparlanti degli elicotteri, tuffava il naso nell’inebriante odore del napalm e si preparava al surf sotto le bombe. Ora sentite questa: “Si scende a Roma. Nelle cuffie i Metallica. Tra le mani il libro di Elio Lannutti sulle banche”. Sembra un teenager in gita scolastica, è Gianluigi Paragone in un tweet di qualche anno fa, tornato a galla proprio adesso che il nono reggimento della cavalleria aerea grillina vuole paracadutarlo sulla commissione banche. Gli piace l’odore dei Savi di Sion al mattino. E cosa di meglio dell’heavy metal per metter paura a quei loschi depositi di metalli pesanti che sono le banche? Però proprio non me lo immagino su una tavola da surf. Anzi, ogni volta che vedo Paragone ripenso alla pagina di Eros e Priapo in cui Gadda illustra la “follia narcissica di un erotomane” con il ricordo di una domenica al mare: “Quando si fu alla battima da bagnarvi i piedi, un di noi, il folle, subito e’ corse un poco più avanti nel mare, e co’ i’ pretesto che senza mutandine te vi diguazzi meglio, in Tirreno, si ignudò: e le iscagliò a noi per palla. Orrorose enormità si palesarono ai poverini, bimbini e matrone ch’erano a pasticciare di arena con le lor pale, o ad ammollare come natanti pachidermi in quel punto. E lui si pavoneggiava felice, di certo pensando che i danesi, che gli svedesi, i norvegesi, i naturisti, i nudisti, così fanno. Ma qui s’era ad Ostia con gente di Porta Portese: e avevi poco a ignudarti, a fare il bullo naturista alla norvegese”. Leggi il seguito di questo post »
La macchina a terrore più internet
Dormi tranquillo, Rousseau? No che non dorme tranquillo. Da quando Casaleggio padre lo ha immischiato nelle sue fantascientifiche strampalerie e l’erede dinastico gli ha intitolato una piattaforma fallata, il tenero Gian-Giacomo si è rivoltato nella tomba tante di quelle volte, ma tante di quelle volte, che i suoi compagni di sepoltura al Panthéon hanno pensato bene di fare una colletta per regalargli uno spiedo da girarrosto. “Dormi tranquillo, Rousseau?” era anche il titolo di un paragrafo di La machine à terreur di Laurent Dispot, un libro del 1977 che illumina la lenta trasformazione del Movimento Cinque Stelle, dopo gli entusiasmi corali dei V-Day e dei meet-up, in una fraternità cainita fondata sulla delazione, sull’annientamento simbolico dei traditori e dei sospetti, sul dossieraggio reciproco, sulle calunnie incrociate, sull’immolazione di ogni affetto privato – padri, amici, amanti – in cima alla pietra sacrificale della piattaforma. Se la rivoluzione industriale ha prodotto la macchina a vapore, scriveva Dispot, l’altra rivoluzione, quella francese, ha messo a punto la macchina a terrore, perfezionata poi dagli ingegneri leninisti. Leggi il seguito di questo post »
La nuova cultura del piagnisteo. La saga del politicamente scorretto
Robert Hughes coniò la formula culture of complaint per descrivere la parabola del politicamente corretto, ma oggi è il soi-disant politicamente scorretto la più rumorosa cultura del piagnisteo. Dove ti giri, è tutto un lagna-lagna. Passano il giorno a lanciare scherni irripetibili, ma se Guy Verhofstadt si permette di usare per il nostro primo ministro una paroletta meramente descrittiva – burattino – per poco non invadono il Belgio. Il loro passatempo strapaesano è svillaneggiare Emmanuel Macron nei modi più grossolani, ma quando il presidente francese parla del populismo come di una lebbra, ecco che, poverini, si sentono etichettati uno ad uno come lebbrosi e si ammantano di indignazione virtuosa. Si compiacciono a dar fondo alle metafore zoologiche quando un immigrato è coinvolto in qualche crimine, ma se l’Espresso affianca Soumahoro e Salvini sotto l’insegna vittoriniana “Uomini e no” fanno i finti o i veri tonti e si mettono a starnazzare contro la disumanizzazione dell’avversario. Mario Giordano invoca quotidianamente la ruspa come un indemoniato, ma se gli fanno sommessamente notare che è sensibile al clima di intolleranza lui non solo abbandona lo studio di Piazza Pulita, ma il giorno dopo ci monta una campagna piagnucolosa, come già l’“eroe” (così Salvini) Maurizio Belpietro contro i giornalisti tedeschi che pretendono di darci lezioncine sulla Rai sovrana. Il ministro di polizia s’inventa una gogna al giorno, minorenni e scortati compresi, ma la sua capotifoseria Maria Giovanna Maglie scrive accorate lettere a Dagospia per lamentare che è il suo cocco a subire il clima d’odio, e come potrebbe non reagire? Per questa turpe china si arriva a Francesco Borgonovo che attacca Luigi Manconi, autore di una finissima meditazione su moralità e politica che l’allegra brigata salviniana ha dolosamente frainteso, di alimentare il clima d’odio – un po’ come se Charles Manson reclamasse perché i vicini di casa mettono Mozart a un volume troppo alto. Leggi il seguito di questo post »
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