Guido Vitiello

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Ovvio dei popoli. Momenti di trascurabile banalità

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captain-obvious-comic-coverIl mito della rivoluzione è l’oppio degli intellettuali, diceva Raymond Aron, e lo diceva in tempo utile (i carri sovietici non erano ancora entrati a Budapest). Ben vengano dunque le terapie di disintossicazione, anche le più abborracciate e ritardatarie. Prendiamo il caso italiano. Quando, negli anni Ottanta, si esaurirono le riserve d’oppio rivoluzionario, si prospettò il rischio di un’astinenza di massa, con tutti i sintomi connessi (paranoie, allucinazioni, suicidi). Ci si affidò allora all’oppioide sintetico della questione morale e della diversità comunista, assunto così a lungo e in dosi così massicce da generare a sua volta dipendenza. Oggi, finito anche il metadone del dottor Berlinguer, alcuni medici caritatevoli somministrano un surrogato ancora più blando, quello che Berselli chiamava l’ovvio dei popoli.

Nel 2012 Roberto Saviano rimase folgorato da un saggio su Gramsci e Turati e lo prescrisse agli ex oppiomani: “Consiglio questo libro a chi si sente smarrito a sinistra”, annunciò su Repubblica. Che cosa aveva appreso di tanto eccitante? Che era esistita, un tempo, una sinistra riformista e tollerante. Con soli novantun anni di ritardo, arrivava per Saviano la commovente scoperta della scissione di Livorno. Di questa sinistra buona si erano perse le tracce, a quanto pare doveva essere stata una corrente clandestina, finché il suo spirito non è tornato a vivere nel Pd. Chissà cosa accadrà quando, nel 2051, Saviano s’imbatterà nella Storia del Psi di Antonio Landolfi, che da Turati arriva fino a Craxi, o nella Breve storia del liberalismo di sinistra di Paolo Bonetti. Nel frattempo, meglio cercare i propri modelli altrove, dove capita, perfino nella sinistra cilena ai tempi del referendum del 1988. Leggi il seguito di questo post »