Il Gambero Verde. Secessioni culinarie
Per chi, come me, vive per lo più nella sua testa, la città non esiste se non come fondale di sogno. Mi accorgo della sua esistenza solo quando un emissario del mondo esterno – generalmente un Tir, ma anche un cagnolino sufficientemente incazzoso può andar bene – minaccia di venirmi addosso e di travolgermi. Allora sono costretto ad aprire gli occhi, e mi accorgo di alcune cose curiose.
Fu per esempio l’agguato di un cocker spaniel (giocherellone, dicono: ma io non mi fiderei), a Villa Torlonia, a riscuotermi dal perenne dormiveglia e a farmi notare che la strada che conduce alla residenza di Mussolini è intitolata a Renzo De Felice, con ironia non so quanto involontaria.
Ieri l’altro, costretto a una clamorosa frenata in via Cernaia, dalle parti della Stazione Termini (per chi non fosse della zona: stiamo parlando di Roma), mi sono trovato davanti un altro segno dei tempi. Dove prima c’era la Salsamenteria Verdiana, che esibiva fieramente sull’insegna il ritratto del compositore e patriota dando all’intera strada un tocco risorgimentale, da qualche tempo ha aperto il Ristorante Barbarossa. Un avvicendamento che nel centocinquantesimo anniversario dell’Unità non può passare inosservato.
Sulle prime ho pensato a un omaggio al polpettone leghista (in senso non culinario) di Renzo Martinelli, ma a giudicare dal menu tutto pontificio-borbonico sembra semmai una sfida all’autoproclamato erede di Alberto da Giussano che considera lo Stato centralista il nuovo Barbarossa.
Tutte mie fantasie, sia chiaro, e di certo la scelta del nome è casuale. Ma c’erano tutti gli ingredienti necessari per fantasticare fino all’inchiodata successiva, davanti a un semaforo (inteso come palo, non come lucetta rossa: quelle nemmeno le vedo).
Written by Guido
febbraio 21, 2011 a 1:45 PM
Pubblicato su Deliri, Politica
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